«La mia strage dimenticata contro gli autoritarismi»
Mike Leigh in gara con lo storico «Peterloo»: temi universali
VENEZIA Furono i giornalisti che il 16 agosto 1819 erano a St. Peter’s Field per narrare quella che avrebbe dovuto essere la più affollata manifestazione di protesta pacifica di Manchester, a chiamare così la strage di civili da parte della cavalleria e dagli ussari di Sua Maestà britannica. Il massacro di Peterloo. Riferimento, insieme tragico e sarcastico, alla recente vittoria dell’esercito britannico su Napoleone a Waterloo. Per Mike Leigh, regista dell’imponente, Peterloo, in gara a Venezia 75, si tratta «della Tienanmen britannica». Diciotto morti tra cui una donna e un bambino, centinaia di feriti. «Un esempio che dimostra come l’autoritarismo possa reagire in modo terribile di fronte all’emergere della voce del popolo». All’epoca ebbe una grande eco: Shelley, che allora viveva in Italia, lo scoprì dai giornali e dedicò un’elegia, The Masque of Anarchy. L’imprenditore John Taylor fondò il quotidiano destinato a diventare il Guardian. La battaglia per il suffragio universale — solo il 2% aveva diritto al voto — ne uscì rafforzata.
Eppure oggi quei fatti sono poco noti persino nel suo Paese.
«È vero, all’epoca provocò un grande sdegno ma oggi è una strage dimenticata. Io sono di Salford, cresciuto poco distante da lì e nessuno me ne
aveva mai parlato. Perché? È una domanda senza risposta. Un esempio di verità nascosta sotto il tappeto, qualcosa di cui voi in Italia avete molta esperienza». Che paralleli vede con il presente?
«Molti e non solo in Gran Bretagna. Tratta temi universali: il rapporto tra potere e popolo, la difesa dei diritti dei più deboli, il divario crescente tra poveri e ricchi, il concetto stesso di democrazia. Nei quattro anni di preparazione del film, il mondo ha vissuto trasforma avvenuta, zioni incredibili. Milioni di rifugiati si muovono spinti da ragioni politiche, sociali, economiche, mentre ovunque l’estrema destra aumenta la propria influenza. Questo pone domande ovunque. Il vostro Paese dal dopoguerra ha avuto più cambi di governo di quanti si possano contare con le dita, in Usa la democrazia sotto Trump non è in buona salute». E in Gran Bretagna?
«Abbiamo la situazione più ridicola, frutto della più assurda, fuorviante, disinformata consultazione elettorale mai
il referendum sulla Brexit. Una tragedia per l’europa intera».
Ha detto che «Peterloo» è una «celebrazione del potere della speranza, e un lamento contro l’inesauribile capacità di distruzione dell’uomo».
«Non sono abituato a raccontare le cose in bianco o nero, o a suggerire cosa sia giusto. Spero che il film aiuti a riflettere».
Lei dipinge il Principe reggente come un inetto, lo vediamo brindare alla carneficina. Ma anche il leader riformatore Henry Hunt (Rory Kinnear) sembra un narciso più preoccupato di se stesso che delle condizioni di vita degli operai tessili ridotti alla fame dalla crisi.
«Era un celebre oratore, ma anche un arrogante vanesio come spesso sono i politici».
Dopo Venezia «Peterloo» passerà al London film festival.
«E l’anteprima sarà a Manchester, mi fa piacere. Il paradosso è che neanche un fotogramma del film è girato lì, ormai è troppo diversa».
È vero che il festival di Cannes invece lo aveva ha rifiutato?
«Sì. Sono felice di essere a Venezia, è un problema loro. Non è neanche la prima volta. Successe nel 2004 con Vera Drake. Vinsi il Leone d’oro».