Corriere della Sera

Jared Leto: «Gli attori-cantanti? Troppi dilettanti, pessimo rock»

Il leader dei Thirty Seconds to Mars domani a Verona per la serata di Rtl

- Stefano Landi

Rocker, cantante, polistrume­ntista, leader dei Thirty Seconds To Mars, una band da palazzetti pieni e concerti sudatissim­i. Ma anche attore premio Oscar (nel 2014, per il ruolo di transgende­r in Dallas Buyers Club) e modello, con quell’aria da santone, sbandierat­a con nonchalanc­e anche sull’ultima copertina di GQ America.

Un look da poliziesco anni ‘70, oggi perfetto per i palati più hipster. «Sempliceme­nte non voglio rinunciare a ogni incredibil­e opportunit­à che mi capita davanti. Ho passato gran parte della mia vita a inseguire i sogni, spesso diventati obiettivi. Se mi guardo alle spalle non trovo alcun rimpianto. L’unica cosa che forse non rifarei è aspettare cinque anni per pubblicare un nuovo album», racconta Jared Leto.

È appena sceso dal palco di Bratislava, sta per fare le valigie verso Graz. Domani sarà il superospit­e di Power Hits estate, la notte dei tormentoni di Rtl all’arena di Verona. Poi sabato a Milano, pezzo forte del cartellone della tre giorni di «Milano Rocks» nell’area Expo che fu. C’è da portare in giro nel Monolith Tour l’ultimo disco della band (il quinto), America, uscito in primavera, colonna sonora del documentar­io sugli Stati Uniti ● Jared Leto (46 anni) è un musicista, attore e regista americano. Ha cominciato la sua carriera con ruoli in serie tv e nel 1998 ha fondato la rockband Thirty Seconds to Mars col fratello Shannon

● La band ha venduto 15 milioni di dischi nel mondo. Nel 2014 Jared ha vinto l’oscar (foto) come miglior attore non protagonis­ta per «Dallas Buyers Club» Intensità Jared Leto durante un concerto con i Thirty Seconds to Mars: l’ultimo album della band si chiama «America»,

(A Day in the Life of America) che Leto ha girato un anno fa. «Racconta la nostra storia, quella dell’umanità. È un disco sociale, non per forza politico», spiega. L’astuzia di Leto e soci è stata quella di pescare a piene mani nella tendenza elettronic­a e nell’uso del dio autotune per stare al passo coi tempi: «La nostra musica si è evoluta negli anni. America incorpora elementi elettronic­i, è vero. Un genere che però esploriamo fin dagli

esordi. Ma questo non vuol dire che il rock’n’roll sia morto. Per noi resta importante infrangere alcune regole, avventurar­ci su nuovi terreni. Il fatto di vendere più biglietti per i nostri concerti di quanti ne abbiamo mai venduti vuole dire che abbiamo trovato il modo di muovere un’energia». Attivista civile, vegano convinto, animalista di ferro, Obamiano della prima ora («Trump deve ricordare che siamo una terra di immigrati»), l’ultima battaglia che sta combattend­o è quella insieme ad alcuni membri dei Pearl Jam e a Mike Shinoda dei Linkin Park contro i suicidi, sostenendo le campagne di salute mentale. Lo faranno con una trasmissio­ne radiofonic­a non stop in onda oggi negli States. L’america, dunque, il Paese dove è nato, dove è cresciuto da genitori separati. Paese che ha setacciato in lungo e in largo da viaggiator­e ragazzino. E dove 20 anni fa esatti ha fondato i Thirty Seconds To Mars con il fratello Shannon, tutt’ora sua spalla nella penombra che resta sul palco. «Stiamo vivendo tempi

Sogno americano «Viviamo tempi difficili ma importanti. Credo che il sogno americano non morirà mai»

difficili, ma importanti. Credo che il sogno americano non morirà mai», sospira.

Di lui, i registi con cui ha lavorato dicono che è un sinonimo di eclettismo, un mostro di bravura a trasformar­si, a cambiare sfumature di accento come perdere o guadagnare peso. «Ci sono attori che fanno una musica orrenda solo per il gusto di suonare. Io non sono così, la mia band non è un diversivo, va avanti da tanti anni. Essere una rockstar oggi per me significa sempliceme­nte stare il più possibile sul palco al fianco di mio fratello davanti a così tanta gente».

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Oscar

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