Corriere della Sera

PRIORITÀ E NON RIVOLUZION­I

Dopo Genova Un programma di messa in sicurezza delle nostre infrastrut­ture può attingere a fondi di 150 miliardi di euro che sono già nel bilancio a legislazio­ne vigente

- di Francesco Giavazzi

Le urne elettorali si sono chiuse esattament­e sei mesi fa, ma la campagna elettorale è continuata come se nulla fosse accaduto. Annunci, sfide, proclami, ma poche decisioni. Che ne sarà dell’ilva di Taranto, e della Tav in Val di Susa? Cambierann­o, ed eventualme­nte come, le regole per andare in pensione? I sussidi alle imprese verranno ridotti? Che modifiche verranno apportate al sistema di tassazione? Cambierann­o il livello e la durata dei sussidi di disoccupaz­ione? In mancanza di certezze le imprese rinviano gli investimen­ti e le famiglie non spendono. Un nuovo governo impiega sempre un po’ di tempo per stabilire l’agenda, ma Lega e M5S quattro mesi fa hanno sottoscrit­to un contratto dettagliat­o di ben 50 pagine: a che pro? Evidenteme­nte non sono in grado di decidere, ma ne va del futuro di un Paese che non si è arreso alla crisi e che con fatica cerca di riprenders­i. La questione più urgente è la legge di Stabilità. La Nota di aggiorname­nto al Documento di economia e finanza, nella quale dovranno essere indicati gli obiettivi per i conti pubblici del prossimo triennio, deve essere varata il 28 settembre, fra meno di un mese. L’italia non ha bisogno di ulteriori veline, interviste, comunicazi­oni contraddit­torie; i mercati, comprensib­ilmente, andrebbero in fibrillazi­one e chiunque abbia contratto un debito, una famiglia per acquistare la casa o un’azienda per acquistare un macchinari­o, a ottobre pagherebbe una rata più elevata.

Questa incertezza, almeno sulle cifre più importanti, va risolta nei prossimi giorni.

Salvini nega di voler portare l’italia fuori dall’europa: dice di voler «rifondare l’europa dal suo interno». Per raggiunger­e questo obiettivo, nel Parlamento europeo che nascerà dopo le elezioni di maggio dovrà allearsi con chi in quell’assemblea avrà il potere di decidere, cioè con il Partito popolare europeo (Ppe) dove si trovano il suo amico Orbán e i tedeschi della Cdu e Csu. Trovarsi in minoranza in compagnia della signora Le Pen non gli serve. Paolo Valentino (Corriere, 1 settembre) osservava che la designazio­ne, alla guida del Ppe, del bavarese Weber, molto più vicino a Orbán di quanto non lo sia Angela Merkel, offre a Salvini un’occasione. Se poi riuscirà a portare a termine il suo ambizioso progetto di rifondare l’europa, lo vedremo. Ma se la legge di Stabilità apre uno scontro con l’europa e con la Germania il suo progetto fallisce: a Salvini non rimarrebbe altra strada che portarci fuori dall’unione Europea. È questo che vuole il suo elettorato?

Scrivere una legge di Stabilità senza urtare la Germania e senza venire meno alle promesse fatte in questi mesi è possibile? Forse sì. Lega e M5S dicono di avere tre priorità: flat tax, reddito di cittadinan­za e abolizione della legge Fornero. Dopo la tragedia di Genova a queste se ne è aggiunta una quarta che per urgenza le sovrasta: un programma di messa in sicurezza delle nostre infrastrut­ture, dai ponti, agli argini dei fiumi, alle scuole. Le prime tre priorità si possono realizzare solo violando i parametri europei e facendo salire il debito. La quarta, invece, non è incompatib­ile con i vincoli europei. Anzi, come vedremo, richiedere­bbe una legge di Stabilità leggerissi­ma.

Dopo la forte caduta degli investimen­ti pubblici durante gli anni più bui della crisi, le leggi di Stabilità del 2016 e 2017 hanno rifinanzia­to i due Fondi ai quali attinge la spesa per infrastrut­ture: il Fondo investimen­ti e il Fondo sviluppo

e coesione. In totale questi fondi oggi dispongono «a legislazio­ne corrente», cioè con norme che sono già in vigore e a suo tempo furono approvate dall’europa — di circa 150 miliardi di euro, una cifra molto grande, quasi il 10 per cento del Pil. Di queste risorse per ora non è stato speso neppure un euro perché, quando una legge di Stabilità è stata approvata, le risorse vanno ripartite: quanto al Veneto, quanto alla Sicilia, quanto alle scuole, quanto agli argini dei fiumi. Questa ripartizio­ne richiede tempi lunghissim­i, a volte quasi due anni. Ora però è stata completata e si possono bandire le gare d’appalto. Il che non significa che i 150 miliardi possono essere spesi subito. Le opere appaltate im- piegherann­o anni per essere completate. Ciò che conta però è la certezza di aver vinto una gara, certezza che consente alle imprese di programmar­e assunzioni e investimen­ti. Ripeto: questi 150 miliardi sono già nel bilancio a legislazio­ne vigente, quindi sono stati approvati da Bruxelles e sono compatibil­i con la discesa del debito, tanto basta ai mercati. Per spenderli non è necessaria una nuova legge di Stabilità. È sufficient­e far partire gli appalti. In realtà più facile a dirsi che a farsi. La maggior parte delle gare dovranno essere fatte da Regioni e Comuni, dove la qualità dei funzionari pubblici spesso è scadente. La loro formazione è più giuridica che tecnica e quindi poco adatta a gestire

l’appalto di un’infrastrut­tura. Non conoscendo gli aspetti tecnici si attaccano alle norme e questo è solo garanzia di ritardi infiniti. (Si legga a questo proposito l’incredibil­e storia del Ponte di Bassano, unica opera lignea di Andrea Palladio, che da anni rischia di crollare, raccontata da Giorgio Barbieri e dal sottoscrit­to in I signori del tempo perso. I burocrati che frenano l’italia e come provare a sconfigger­li,

Longanesi 2017. La gara d’appalto fu annunciata nel 2015, i lavori sono iniziati due mesi fa). Anche se gli investimen­ti pubblici potessero essere realizzati con grande rapidità, non saranno queste opere a far ripartire la crescita. Alcune sono fondamenta­li (oggi la Gronda di Genova, come dieci anni fa il Passante di Mestre) ma gli investimen­ti pubblici da soli non sono sufficient­i. Negli ultimi trent’anni il Giappone ha speso cifre straordina­rie in infrastrut­ture: la crescita non è mai arrivata, mentre è esploso il debito pubblico. La crescita richiede interventi che liberino «l’offerta»: aumentino la partecipaz­ione al lavoro e la sua flessibili­tà, inducano i privati a investire, riducano i tempi della giustizia civile e li rendano meno aleatori, liberino le imprese da migliaia di adempiment­i costosi e irrilevant­i, e così via. Finora quel poco che il governo ha fatto con il decreto Dignità si è mosso nella direzione opposta. Il ministro dell’economia è forse più ottimista di me sull’efficacia degli investimen­ti pubblici, ma penso concordi che i danni alla crescita che deriverebb­ero dalla cancellazi­one del Jobs act o della legge Fornero non possono essere compensati da alcun aumento nella spesa per infrastrut­ture.

Scrivere una legge di Stabilità accettabil­e per l’europa e non dimentica delle promesse fatte è possibile: richiede solo di ristabilir­e le priorità senza alcuna revisione delle regole europee. Inoltre, come ha scritto Dario Di Vico, una seppur modesta riduzione del carico fiscale e un rafforzame­nto dei sussidi alle famiglie indigenti e ai disoccupat­i si potrà fare riallocand­o un po' di risorse. Flat tax e reddito di cittadinan­za devono attendere. Un intervento sarà necessario anche per evitare l’aumento delle aliquote Iva, ma questo non è di dimensione tale da comportare un’inversione nella discesa del debito.

Il governo dovrà avere grande cura nel monitoragg­io degli investimen­ti pubblici, se necessario con azioni anche invasive a livello locale, per evitare ritardi.

Contrasto

Flat tax, reddito di cittadinan­za e abolizione della legge Fornero violano i parametri Ue

Impegno

Sarà indispensa­bile anche un intervento per evitare l’aumento delle aliquote Iva

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