Corriere della Sera

L’ombra del generale

C’è Haftar, la volpe della Cirenaica, dietro l’attacco. Ma non è solo

- di Francesco Battistini

Pochi hanno dubbi. E i salafiti fedeli al governo sostenuto dall’onu lo dicono chiaro: con la Settima brigata che attacca Tripoli c’è il generale Haftar.

Una delle cose che il generale Khalifa Haftar ha imparato nei suoi anni americani, dicono, è il vezzo di firmare le bombe. Ha un pennarello speciale. Autografò i razzi che dovevano liberare Sirte dai tagliagole dell’isis. E lo fece pure quando lanciò la sua Operazione Dignità, che doveva «liberare» l’intera Libia e gli permise di conquistar­ne metà. Stavolta è improbabil­e che gli ultimi Grad, piovuti vicino all’ambasciata italiana di Tripoli, portassero la sua firma. Men che meno le pallottole che stanno ripiomband­o la capitale libica nei peggiori scontri dal 2014. Pochi hanno dubbi, però. E anzi i miliziani delle Forze speciali Radaa, salafiti fedeli al governo sostenuto dall’onu, lo dicono chiaro. Chi sta attaccando il cuore del potere tripolino non è solo il site gnore della guerra Salah al Badi, alla testa della Settima Brigata ribelle e delle milizie Al Kani: no, a coprirgli le spalle c’è Haftar. Il generaliss­imo che si sente il nuovo Rais e in questi anni è stato tenuto fuori dai giochi e ora non s’accontenta più di governare a Est, Tobruk e la Cirenaica, ma vuole prendersi tutto il mazzo.

Chi sta con chi

Tre tregue in quattro giorni non sono bastate. Lo scontro è prima politico, che militare. Delegato alle potenti milizie di Tripoli, Tarhuma, Misurata, Zintan, Zawia. Da una parte, chi sta con Sarraj: i Radaa, la Prima divisione Tbr (Briga- rivoluzion­arie di Tripoli, del ministero dell’interno), la Brigata Abu Selim e gli acerrimi nemici di Haftar, l’ottava divisione Nawasi; dall’altra, gli uomini di Al Badi, rientrato apposta dalla Turchia, dove s’era rifugiato dopo aver messo a ferro e fuoco la capitale nel 2014. Al Badi ha lanciato un appello alla sollevazio­ne popolare contro «i corrotti che affamano Tripoli», dicendo di voler «combattere per chi non ha cibo e per giorni aspetta in coda lo stipendio».

Un golpe?

Ora, è vero che i miliziani che controllan­o Tripoli vivono spesso di pizzo&ingiustizi­a, ma non sfugge che la posta sia ben altra. E che il golpe — perché di questo si tratta, visto che la Settima Brigata aveva giurato fedeltà a Sarraj — coincida con gli interessi di Haftar, dell’egitto e soprattutt­o dei francesi, determinat­i a indire in tutta la Libia elezioni politiche per dicembre. Il generaliss­imo ha fretta. E non vuole intralci: l’ambasciato­re italiano Giuseppe Perrone, che un mese fa aveva espresso dubbi sulla possibilit­à di votare nel 2018, oltre ai Grad a cento metri dall’ufficio, s’è beccato i colpi d’un sito francese, molto vicino agli 007 parigini della Dgse, che ha ipotizzato un suo silurament­o.

Trump e noi

La guerriglia di Tripoli è una faccenda che ci riguarda da vicino, anche stavolta. Lo dicono il pubblico sostegno di Trump al premier Conte (peraltro favorevole ad aprire a Haftar) proprio sul dossier libico, la visita del vicepremie­r Di Maio al Cairo, l’evacuazion­e della nostra ambasciata. Improvvisa­mente, la crisi libica s’è rimessa a correre. L’occidente va a passo di lumaca. Ed è la volpe della Cirenaica, ancora, a rivelarsi la più veloce.

 ??  ?? L’uomo forteUn uomo con un ritratto del generale Haftar durante una manifestaz­ione a sostegno dell’uomo forte della Cirenaica, in marcia verso Tripoli, da molti ritenuto come l’unico possibile garante contro il terrorismo e l’unico in grado di imporsi con il suo esercito nazionale libico, per quanto autoprocla­mato (Reuters / Esam Omran Al Fetori)
L’uomo forteUn uomo con un ritratto del generale Haftar durante una manifestaz­ione a sostegno dell’uomo forte della Cirenaica, in marcia verso Tripoli, da molti ritenuto come l’unico possibile garante contro il terrorismo e l’unico in grado di imporsi con il suo esercito nazionale libico, per quanto autoprocla­mato (Reuters / Esam Omran Al Fetori)

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