Corriere della Sera

«Promesse da 75 miliardi»

- di Enrico Marro

«La flat tax costerebbe da sola 50 miliardi. Le misure per superare la Fornero circa 8 miliardi, il reddito di cittadinan­za altri 17 miliardi. In tutto parliamo di circa 75 miliardi di euro»: così Carlo Cottarelli in un’intervista al Corriere. E sullo spread: «Per farlo scendere ci vorrebbe una chiara riduzione del deficit e del debito rispetto al 2018».

Professore, cominciamo dalla situazione sui mercati e dall’aumento dello spread. Secondo lei di quanto salirà la spesa per interessi sul debito nel 2019?

«Abbiamo fatto una stima — dice Carlo Cottarelli, già commissari­o alla spending review e ora direttore dell’osservator­io dei conti pubblici alla Cattolica di Milano —. Si tratta di 5 miliardi nel 2019, mentre la spesa è già salita di un miliardo quest’anno».

Si poteva evitare?

«Sì. È vero che ci sono componenti esterne, come la crisi turca, ma l’aumento dello spread è anche la conseguenz­a delle dichiarazi­oni di questo governo e di questa maggioranz­a, che hanno promesso tantissimo».

Il ministro dell’economia, Giovanni Tria, dice che con la Nota di aggiorname­nto al Documento di economia e finanza e con la legge di Bilancio lo spread scenderà.

«Dipende da che cosa ci sarà scritto nella legge di Bilancio. Per far scendere lo spread ci vorrebbe una chiara riduzione del deficit e del debito rispetto al 2018. In particolar­e, il debito in rapporto al Pil andrebbe ridotto di 3 punti percentual­i all’anno, ma siamo ancora lontani da questo risultato. E perciò restiamo esposti a qualsiasi scossone esterno».

Secondo il vicepremie­r Di Maio «non possiamo star dietro a un’agenzia di rating e poi pugnalare alle spalle gli italiani».

«Il modo migliore per proteggere gli italiani è evitare crisi tipo quella del 2011, che si ripercuoto­no sulle fasce sociali più deboli. Osservo che tra il 10 maggio e il 31 agosto del 2011 lo spread era salito di 129 punti, da 162 a 291: nello stesso periodo di quest’anno l’aumento è stato di 150 punti, da 138 a 289. Anche se la situazione non è per fortuna quella del 2011 perché l’economia sta crescendo e il livello dei tassi è più basso, non si può stare tranquilli».

Sempre Di Maio dice: «Bisogna mantenere le promesse. Flat tax, reddito di cittadinan­za e legge Fornero sono le priorità». Se lei potesse scegliere, dove metterebbe la priorità?

«Guardi, queste tre cose purtroppo non ce le possiamo permettere e dunque io non ne farei nessuna. Credo che il governo dovrebbe fare altre cose, per far crescere l’economia, migliorare la produttivi­tà e la competitiv­ità. Lo si fa con una drastica lotta alla burocrazia, che tra l’altro riduce la propension­e a investire in Italia. Le piccole e medie imprese pagano più di 30 miliardi di euro all’anno soltanto per riempire moduli, stima ufficiale del dipartimen­to della Funzione pubblica. Inoltre, ci vorrebbe una lotta serrata alla corruzione e all’evasione fiscale e una riforma per rendere più veloce la giustizia civile».

E il taglio delle tasse?

«Se ci si riesce tanto meglio, ma questa operazione si può fare se la si finanzia con tagli dal lato della spesa o delle agevolazio­ni fiscali. La flat tax costerebbe da sola 50 miliardi. Le misure per superare la Fornero circa 8 miliardi, il reddito di cittadinan­za altri 17 miliardi. In tutto parliamo di circa 75 miliardi di euro. Finanziare queste riforme struttural­i ricorrendo a un aumento del deficit non avrebbe senso, perché significhe­rebbe andare a chiedere prestiti a investitor­i che già pretendono interessi più alti sui nostri titoli di Stato. Insomma, se uno mi dice “ce ne freghiamo delle agenzie di rating e aumentiamo il deficit” poi mi deve spiegare dove trova chi ci presta i soldi».

Nel governo c’è la tentazione di un deficit nel 2019 oltre il 3% del prodotto interno lordo, ma Tria si oppone.

«Spero che il ministro dell’economia si opponga non soltanto allo sforamento del 3%. In realtà, ci vorrebbe una riduzione del deficit struttural­e, che l’italia invece sta rinviando da anni».

Fin dove si potrà spingere il deficit senza correre rischi sui mercati?

«La cosa più giusta per mettersi al riparo sarebbe di ridurlo più o meno all’1% del Pil. Forse un deficit del 2-2,2% non causerebbe una immediata reazione negativa, ma lascerebbe l’italia ancora più esposta di ora a rischi futuri».

Sarebbe opportuno anticipare la manovra rispetto al termine di metà ottobre?

«Sì, però un anticipo non risolve ogni problema, perché dipende da cosa si decide. Finché non lo sapremo la preoccupaz­ione resta. Dobbiamo sperare che la congiuntur­a internazio­nale rimanga favorevole, perché se il ciclo si inverte e il nostro debito ricomincia a crescere rispetto al Pil, non ci salva più nessuno dal rischio che lo spread aumenti a 500-600 punti. La fortuna non dura in eterno e i tempi si fanno sempre più stretti».

Il rischio

«Se la congiuntur­a internazio­nale non sarà più favorevole si rischia di superare i 500 punti»

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