Tre punti fermi per chi cerca una soluzione
La prima parziale evacuazione dalla Libia del personale italiano, anche se l’ambasciata resta aperta e l’eni resta operante, conferma fino a che punto gli scontri armati che si susseguono a Tripoli dal 25 agosto mettano a rischio i nostri interessi. L’italia appoggia il governo internazionalmente riconosciuto di Fayez Sarraj che ha sede a Tripoli, l’italia ha in Tripolitania rilevanti interessi economici che contribuiscono a soddisfare i nostri consumi energetici, e i nostri governi sono da anni impegnati in una doppia azione a largo raggio: per la pacificazione della Libia, certo, ma anche per contenere le correnti migratorie che proprio dalle coste libiche tentano di raggiungere il nostro territorio.
Se i flussi dei migranti sono notevolmente diminuiti (ma restano anche così al centro delle diatribe politiche romane), il dossier della pacificazione non avanza e rischia ora la catastrofe. Il motivo è semplice: una alleanza di milizie che hanno base non lontano da Tripoli ha dato l’assalto alle milizie che difendono la città e il governo Sarraj denunciando l’iniqua ripartizione dei proventi petroliferi. Armi e soldi, è sempre stata questa la combinazione che alimenta la guerra civile libica da quando il dittatore, ma anche abile distributore di privilegi, Muammar Gheddafi è stato eliminato dall’occidente nel 2011. Il rischio è ora che la battaglia di Tripoli non abbia soltanto un significato locale. Si dice che le milizie all’offensiva siano in contatto con il generale Haftar, dominus della Cirenaica, vicino alla Francia (che ha interessi energetici in rivalità con i nostri), e avversario di Serraj. Se così fosse, dovremmo aspettarci una estensione dei combattimenti.
Tre cose appaiono chiare, ma lo erano già prima degli ultimi avvenimenti. Primo, l’idea di Parigi di tenere elezioni in Libia il 10 dicembre prossimo non è realistica e potrebbe gettare nuovo olio sul fuoco. Secondo, la riunione multilaterale che l’italia tenta di organizzare a Sciacca può essere utile soltanto se pensata in effettiva collaborazione con la Francia (e viceversa). Terzo, lasciamo perdere le «cabine di regia» con gli Usa per la Libia. Lì le parole non bastano.