Gli asili nei boschi
Dal Nord Europa all’italia, tra gioco ed esplorazione «Qui si sta all’aperto anche quando piove E i bimbi stanno meglio»
«Noi abbiamo una struttura al coperto, perché altrimenti all’inizio nessun genitore ci avrebbe mandato i figli, ma la usiamo al massimo il cinque per cento del tempo: i bambini giocano nel bosco anche quando piove. Hanno un kit apposito, che tengono alla base, con la tuta impermeabile di fabbricazione danese e le galosce, e si ammalano meno della media». Paolo Mai è il fondatore e il coordinatore pedagogico del primo «Asilo nel bosco» italiano, che si trova a Ostia: una scuola materna senza aule tradizionali e in cui i bimbi dai due ai sei anni stanno sempre nella natura, imparando (e divertendosi) con quello che trovano intorno a loro.
Il suo motto — preso in prestito dal fondatore degli scout Baden Powell, che l’ha reso famoso — è «non esiste cattivo tempo, esistono solo vestiti sbagliati». L’asilo di Ostia ha 5 anni, in Germania i bimbi pionieri dei «Waldkindergärten», come si chiamano in tedesco, hanno ormai superato il mezzo secolo di vita: a novembre un congresso a Berlino festeggerà l’anniversario della nascita del primo, a Wiesbaden, nel 1968. Oggi se ne contano oltre 1.500. L’idea in realtà è originaria della Scandinavia: solo in Danimarca due scuole materne su dieci, 700 in tutto, sono di questo tipo. In Italia, anche se sono approdate da pochissimo, ce ne sono almeno un’ottantina, da Bari a Bolzano (e a Ostia c’è pure l’asilo del mare).
L’idea intorno a cui prendono forma è innanzitutto pedagogica: «Quella di un’educazione attiva in cui i bambini — spiega Emma Baumgartner, che dirige il dipartimento di Psicologia sociale e dello sviluppo della facoltà di Medicina all’università La Sapienza di Roma — sono protagonisti e non solo fruitori dell’apprendimento, che passa attraverso il contatto con la natura». Studi ormai diventati classici del biologo svedese Patrik Grahn hanno dimostrato che stare tra alberi e prati fa bene ai piccoli sia dal punto di visto fisico (rafforzano le difese immunitarie e tendono ad ammalarsi di meno, hanno un migliore sviluppo motorio) sia psicologico, perché migliorano le competenze sociali e la capacità di concentrazione.
«La nostra esperienza lo conferma» assicura Mai. Ad Ostia i bimbi entrano a un orario variabile tra le 7 e mezza e le 10 e iniziano a fare attività alla «base». «Poi quando sono arrivati tutti ci sediamo in cerchio e decidiamo dove andare a fare esplorazione. Altre volte ci diamo appuntamento direttamente al mare o nel Parco archeologico della città antica». Sono gli stessi bimbi che scelgono cosa fare. Un’impostazione ispirata a diversi metodi educativi, quello Montessori, lo steineriano, ma anche altri, e che secondo Mai è perfetta anche per svolgere i programmi ministeriali: «Per l’asilo prevedono che i bambini lavorino su sviluppo corporeo e movimento, socialità ed espressione creativa — spiega —: giocare insieme all’aperto con sassi e bastoni oltre a farli muovere li spinge a fare gruppo e a usare l’immaginazione». Mai assicura che non è pericoloso: «I bimbi migliorano le capacità motorie e acquisiscono fiducia in se stessi: questo dà loro sicurezza, anche quando non sono a scuola». Ad accompagnarli c’è un insegnante ogni 7 piccoli (a Ostia gli alunni di quello che ormai è diventato un istituto comprensivo sono 130).
A proposito dei docenti, sono loro i più coraggiosi: se i bimbi lasciano l’asilo dopo tre-quattro anni, i loro insegnanti continuano ad affrontare pioggia e vento. È dura? «Non puoi fare il maestro del bosco — dice ridendo Mai — se non ti piace la natura».
I vantaggi
Secondo diversi studi fa bene ai piccoli sia dal punto di vista fisico che psicologico