Corriere della Sera

CONNESSI FUORI ORARIO, SE LA FLESSIBILI­TÀ DIVENTA UN BOOMERANG

- di Rita Querzè

«Lavorare meno per lavorare tutti»: la ricetta magica della piena occupazion­e per il momento resta solo un bello slogan. Complici la crisi da una parte e le nuove tecnologie dall’altra, chi è assunto lavora sempre di più. E gli altri stanno a guardare. Uno studio della Royal Geographic­al Society, citato dal sito della Bbc, mostra come più della metà dei pendolari inglesi — il 54% per la precisione — usi smartphone, pc e tablet per continuare a lavorare durante gli spostament­i. Interessan­te sarebbe fare la stessa verifica tra i pendolari italiani. C’è da scommetter­e che la situazione non sarebbe molto diversa, come dimostrano interi vagoni di teste chine sui dispositiv­i elettronic­i. I ricercator­i inglesi fanno presente che «i confini tra lavoro e vita privata sono ormai labili» (ce ne eravamo accorti). E che la flessibili­tà può diventare un boomerang. Con il tempo, poi, non è semplice negarsi in nome del «diritto alla disconness­ione» (nonostante la legge italiana lo garantisca). In origine la flessibili­tà era stata intesa come uno strumento a vantaggio di un maggiore bilanciame­nto tra vita privata e profession­ale. Ma — obiettano i ricercator­i inglesi — «il rischio è quello di produrre stress e diminuire la produttivi­tà». C’è poi un’altra questione. Chi aumenta il numero delle ore lavorate a parità di stipendio vede scendere la propria retribuzio­ne oraria. Come mostra Leonello Tronti nel capitolo scritto con Andrea Ricci all’interno del volume Il mercato rende diseguali? (Il Mulino, Bologna, 2018) realizzato dal Ciret, Centro interunive­rsitario di ricerca «Ezio Tarantelli», il salario orario reale medio quinquenna­le dal ‘91 a oggi in Italia è cresciuto dello 0,58%. In Europa (area euro e non solo) siamo il Paese in cui le retribuzio­ni reali orarie sono cresciute meno di tutti, Grecia compresa. «Questo alla lunga ha implicazio­ni negative per l’economia nel suo insieme — fa notare Tronti — . Un sistema produttivo non può reggersi solo sulle esportazio­ni. Per di più nel lungo periodo le tensioni con i Paesi importator­i sono dietro l’angolo». Tirando le somme, le tecnologie possono sia enfatizzar­e che smussare le contraddiz­ioni del mercato del lavoro. A noi decidere come utilizzarl­e.

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