Corriere della Sera

CONTARE DI PIÙ NELL’UE MA PER FARE CHE COSA?

- Di Antonio Armellini

Le posizioni di vertice in Europa condiziona­no gli scenari e la «distrazion­e» evocata da Paolo Valentino (Corriere, 28 agosto) ha coinvolto più o meno tutti i governi degli ultimi sessant’anni, in una logica involontar­iamente bipartisan. Qualche esempio: Franco Maria Malfatti, che abbandonò la Commission­e per assumere un ruolo rivelatosi effimero di governo. La sufficienz­a con cui è stata seguita l’azione di Renato Ruggiero, troppo innovatore per un Paese sclerotizz­ato. Sino a Matteo Renzi che ha inseguito un incarico dai molti pennacchi e dalla poca sostanza, come quello di Alto rappresent­ante per la politica estera, anziché puntare su cose per noi ben più importanti, come la concorrenz­a o il mercato interno, che erano state di Mario Monti.

Il punto non è solo di come gestire la fine della sovrarappr­esentazion­e di cui abbiamo più o meno fortunosam­ente beneficiat­o al vertice delle istituzion­i europee. A Bruxelles contano i commissari, ma contano anche — e molto — i funzionari: francesi e tedeschi mantengono un filo costante con i loro eurocrati, riuscendo ad avere un accesso privilegia­to alle decisioni comunitari­e. Con quelli italiani non vi è nulla di simile e l’indifferen­za nei loro confronti non solo priva la nostra politica di uno strumento di influenza importante, ma li spinge spesso ad avere nei confronti dell’italia un rapporto distante, se non proprio ostile. Siamo largamente assenti dalle strutture di «soft power» che permettono ai Paesi di far sentire

Presenza

Francesi e tedeschi hanno un accesso privilegia­to alle decisioni comunitari­e

anche indirettam­ente la propria voce a Bruxelles. Enzo Moavero Milanesi è stato a lungo un eurocrate importante, queste cose le ha vissute sulla sua pelle e saprebbe quale strategia adottare per cercare di ovviarvi.

Sempreché si sappia di che Europa vogliamo fare parte. Ai tempi del «vincolo esterno» della Prima Repubblica, essa era vista a un tempo come una ricetta taumaturgi­ca e un obbligo salvifico da rispettare senza metterne in discussion­e — pena il nostro stesso danno — regole e prescrizio­ni. Col passare degli anni la «coperta di Linus» di Paese fondatore alfiere di una integrazio­ne politica proclamata più che assorbita si è fatta più corta, finché con l’avvento della moneta unica la percezione del «vincolo esterno» si è andata mutando in quella di una camicia di forza imposta da un’etica protestant­e aliena. Nella confusione della mancanza di idee camuffata da volontà iconoclast­a, rischiamo di spararci sui piedi anche là dove abbiamo ragione da vendere come sui migranti, dove l’europa si gioca molta della sua credibilit­à, e diamo il destro a Emmanuel Macron di ironizzare su un’italia che accusa l’europa sull’immigrazio­ne, ma torna a bussare alla sua porta quando si tratta di fondi struttural­i…

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