CONTARE DI PIÙ NELL’UE MA PER FARE CHE COSA?
Le posizioni di vertice in Europa condizionano gli scenari e la «distrazione» evocata da Paolo Valentino (Corriere, 28 agosto) ha coinvolto più o meno tutti i governi degli ultimi sessant’anni, in una logica involontariamente bipartisan. Qualche esempio: Franco Maria Malfatti, che abbandonò la Commissione per assumere un ruolo rivelatosi effimero di governo. La sufficienza con cui è stata seguita l’azione di Renato Ruggiero, troppo innovatore per un Paese sclerotizzato. Sino a Matteo Renzi che ha inseguito un incarico dai molti pennacchi e dalla poca sostanza, come quello di Alto rappresentante per la politica estera, anziché puntare su cose per noi ben più importanti, come la concorrenza o il mercato interno, che erano state di Mario Monti.
Il punto non è solo di come gestire la fine della sovrarappresentazione di cui abbiamo più o meno fortunosamente beneficiato al vertice delle istituzioni europee. A Bruxelles contano i commissari, ma contano anche — e molto — i funzionari: francesi e tedeschi mantengono un filo costante con i loro eurocrati, riuscendo ad avere un accesso privilegiato alle decisioni comunitarie. Con quelli italiani non vi è nulla di simile e l’indifferenza nei loro confronti non solo priva la nostra politica di uno strumento di influenza importante, ma li spinge spesso ad avere nei confronti dell’italia un rapporto distante, se non proprio ostile. Siamo largamente assenti dalle strutture di «soft power» che permettono ai Paesi di far sentire
Presenza
Francesi e tedeschi hanno un accesso privilegiato alle decisioni comunitarie
anche indirettamente la propria voce a Bruxelles. Enzo Moavero Milanesi è stato a lungo un eurocrate importante, queste cose le ha vissute sulla sua pelle e saprebbe quale strategia adottare per cercare di ovviarvi.
Sempreché si sappia di che Europa vogliamo fare parte. Ai tempi del «vincolo esterno» della Prima Repubblica, essa era vista a un tempo come una ricetta taumaturgica e un obbligo salvifico da rispettare senza metterne in discussione — pena il nostro stesso danno — regole e prescrizioni. Col passare degli anni la «coperta di Linus» di Paese fondatore alfiere di una integrazione politica proclamata più che assorbita si è fatta più corta, finché con l’avvento della moneta unica la percezione del «vincolo esterno» si è andata mutando in quella di una camicia di forza imposta da un’etica protestante aliena. Nella confusione della mancanza di idee camuffata da volontà iconoclasta, rischiamo di spararci sui piedi anche là dove abbiamo ragione da vendere come sui migranti, dove l’europa si gioca molta della sua credibilità, e diamo il destro a Emmanuel Macron di ironizzare su un’italia che accusa l’europa sull’immigrazione, ma torna a bussare alla sua porta quando si tratta di fondi strutturali…