Lavoro e immigrati, le parole da non dire
Sarebbe il caso, però, che il presidente della Confindustria Vincenzo Boccia, ma non solo lui beninteso, evitasse un’espressione diventata odiosa come «gli immigrati fanno lavori che gli italiani non fanno più». Non è una frase neutra, una constatazione di buon senso. O addirittura, come un’esortazione a non rinchiuderci nel recinto autarchico antimigranti, a sottolineare il bene che gli stranieri portano alla nostra economia. È invece un’espressione inconsapevolmente cinica ed egoista. Evoca il lavoro sottopagato, ai limiti dello schiavismo, come si è visto tra i braccianti stagionali vessati dal caporalato nel foggiano e in Calabria. Evoca mancanza di diritti, condizioni talvolta infami di lavoro, così infami che noi italiani, fortunatamente muniti di diritti conquistati nemmeno da tanto tempo, non potremmo più accettare. È un’espressione che non rimanda a figure professionali nuove e fresche: quelle, quando esistono, non è che gli italiani non vogliono più fare, è che non sanno fare. Forze giovani, qualificate, colte, desiderose di emergere. Magari fosse questo. Invece è un’altra cosa. Chi usa l’espressione «lavori che gli italiani non fanno più» vada a controllare il colore della pelle di chi svolge le mansioni più umilianti, con salari che sfiorano e spesso scavalcano la soglia dell’indecenza. Faccia un salto nelle cucine per vedere chi fa il lavapiatti, quanto prende, quante ore lavora, dove vive, da dove viene, di che colore è la sua pelle. O gli addetti alle pulizie nelle stazioni, nei porti, negli aeroporti: come mai non si trovano italiani tra loro? In quali tuguri alloggiano, questi lavoratori che sostituiscono gli italiani che non accetterebbero mai la loro condizione? E i pomodori che consumiamo al supermercato rallegrandoci del loro prezzo basso, chi li raccoglie, con quale remunerazione, per quante ore al giorno? Ce lo potrebbe spiegare, l’ispettorato del lavoro, questa contagiosa riluttanza degli italiani a fare lavori che altri, meno fortunati di loro, sono disposti a prendere? Faccia così, presidente Boccia: trovi un’altra espressione per formulare il suo pensiero sul mercato del lavoro. Sia meno conformista, meno corrivo, più rispettoso verso chi si carica di mansioni che sono la disperazione per gli italiani che oramai si possono permettere di rifiutare. Le sue idee certamente giuste non ne avranno che da guadagnare.