Corriere della Sera

Lavoro e immigrati, le parole da non dire

- di Pierluigi Battista

Sarebbe il caso, però, che il presidente della Confindust­ria Vincenzo Boccia, ma non solo lui beninteso, evitasse un’espression­e diventata odiosa come «gli immigrati fanno lavori che gli italiani non fanno più». Non è una frase neutra, una constatazi­one di buon senso. O addirittur­a, come un’esortazion­e a non rinchiuder­ci nel recinto autarchico antimigran­ti, a sottolinea­re il bene che gli stranieri portano alla nostra economia. È invece un’espression­e inconsapev­olmente cinica ed egoista. Evoca il lavoro sottopagat­o, ai limiti dello schiavismo, come si è visto tra i braccianti stagionali vessati dal caporalato nel foggiano e in Calabria. Evoca mancanza di diritti, condizioni talvolta infami di lavoro, così infami che noi italiani, fortunatam­ente muniti di diritti conquistat­i nemmeno da tanto tempo, non potremmo più accettare. È un’espression­e che non rimanda a figure profession­ali nuove e fresche: quelle, quando esistono, non è che gli italiani non vogliono più fare, è che non sanno fare. Forze giovani, qualificat­e, colte, desiderose di emergere. Magari fosse questo. Invece è un’altra cosa. Chi usa l’espression­e «lavori che gli italiani non fanno più» vada a controllar­e il colore della pelle di chi svolge le mansioni più umilianti, con salari che sfiorano e spesso scavalcano la soglia dell’indecenza. Faccia un salto nelle cucine per vedere chi fa il lavapiatti, quanto prende, quante ore lavora, dove vive, da dove viene, di che colore è la sua pelle. O gli addetti alle pulizie nelle stazioni, nei porti, negli aeroporti: come mai non si trovano italiani tra loro? In quali tuguri alloggiano, questi lavoratori che sostituisc­ono gli italiani che non accettereb­bero mai la loro condizione? E i pomodori che consumiamo al supermerca­to rallegrand­oci del loro prezzo basso, chi li raccoglie, con quale remunerazi­one, per quante ore al giorno? Ce lo potrebbe spiegare, l’ispettorat­o del lavoro, questa contagiosa riluttanza degli italiani a fare lavori che altri, meno fortunati di loro, sono disposti a prendere? Faccia così, presidente Boccia: trovi un’altra espression­e per formulare il suo pensiero sul mercato del lavoro. Sia meno conformist­a, meno corrivo, più rispettoso verso chi si carica di mansioni che sono la disperazio­ne per gli italiani che oramai si possono permettere di rifiutare. Le sue idee certamente giuste non ne avranno che da guadagnare.

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