INTERVENTI E REPLICHE
L’unione Europea e il sistema bancario tedesco
La Germania, scrive Ernesto Galli della Loggia («La scossa che manca a sinistra», Corriere del 30 agosto) «se ne ride dei richiami di Bruxelles per la violazione del limite del suo attivo commerciale». Non è così: a differenza delle regole sugli squilibri fiscali (i famosi parametri di Maastricht), quella sugli squilibri macroeconomici è costituita da 14 indicatori: la bilancia dei pagamenti, che non deve superare il 6% del Pil, è solo uno di essi. La Commissione, per valutare se un Paese sia in squilibrio macroeconomico, fa una valutazione complessiva di tutti gli indicatori. Non risulta abbia offerto occasioni di ilarità. Altra cosa è sostenere che una politica che favorisse maggiori investimenti interni e aumenti salariali andrebbe a vantaggio di tutti, Germania compresa. Quanto all’altra accusa, di occultare «spudoratamente la situazione fallimentare di un pezzo del suo sistema creditizio», ci si aspetta che affermazioni di tale potenziale impatto siano suffragate da qualche dato.
Franco Debenedetti
Non ho mai scritto che Bruxelles ha dichiarato la Germania colpevole di una situazione di squilibrio macroeconomico ma semplicemente che, avendo constatato che per molti anni di seguito (e cioè oltre i tre al massimo consentiti dalla regole europee) la bilancia commerciale tedesca aveva fatto segnare un surplus superiore al 6 per cento, l’ha ripetutamente invitata a rientrare nei limiti fissati e che di tali inviti la Germania se n’è risa (espressione idiomatica italiana che sta per «se n’è infischiata»). Non capisco proprio pertanto che cosa Franco Debenedetti intenda smentire o precisare.
Vengo alle banche. Afflitto da forti costi di esercizio per un altissimo numero di filiali (circa 45 mila) e di addetti (circa 700 mila) e gravato da un'ingentissima presenza nelle sue casse di derivati e di altri titoli opachi e rischiosi (sono un terzo di tutti quelli presenti negli istituti europei), il sistema bancario tedesco è quello che ha avuto più aiuti dallo Stato tra quelli della Ue (ben 238 miliardi dal 2008 al 2014; quello italiano ne ha ricevuti 4) . Dal canto suo il governo tedesco ha ottenuto che, oltre la Kreditanstalt für Wiederaufbau (il corrispettivo della nostra Cassa depositi e prestiti), ben altre 13 banche di sviluppo regionale (le Landesförderbanken) strettamente legate al sistema politico-partitico dei Länder fossero esonerate dall’osservare i requisiti di capitale che la Unione Europea ha stabilito per assicurare la tenuta delle banche in caso di crisi: con la risibile giustificazione — che spero apparirà tale anche a Debenedetti — della natura federale dello Stato tedesco. Sono infine di dominio pubblico le difficilissime condizioni di Deutsche Bank la cui controllata americana, per esempio, di recente non ha superato lo stress test a cui è stata sottoposta dalla Federal Reserve. Lascio giudicare ai lettori come debba essere definito da tutto ciò lo stato di salute del sistema bancario tedesco. Ernesto Galli della Loggia