Corriere della Sera

«Al Foro Italico come a Rio con i fari accesi nell’arena»

Il c.t. Blengini: «Il torneo in casa una tappa chiave verso Tokyo»

- Flavio Vanetti

Otto anni dopo il precedente (sfortunato) del 2010, ma soprattutt­o quaranta dopo lo straordina­rio volo verso l’argento del «Gabbiano» di Carmelo Pittera, la Nazionale di volley ci riprova. Mondiale 2018, l’organizzaz­ione congiunta con la Bulgaria non fa dimenticar­e che gran parte del torneo si svolgerà in Italia. Il fattore campo — già dall’ouverture del 9 settembre, al Foro Italico per dare il senso dell’arena agli azzurri impegnati contro il Giappone — sarà un valore aggiunto più che un fardello. Questo però non dà certezze: nel 2010 arrivò una dolorosa medaglia di legno. Ma provarci si può e si deve, a maggior ragione dopo i grandi Giochi del 2016: il timoniere è lo stesso di Rio, Chicco Blengini, un c.t. alla caccia del vento giusto per la sua Azzurra.

L’italia deve entrare nel Mondiale a fari spenti o a fari accesi?

«Accesi. Gli avversari saranno tanti, probabilme­nte qualcuno ha qualcosa in più di noi. Ma l’italia i fari li deve accendere, per guardarsi bene attorno e illuminare i suoi passi».

L’attesa dà tono. Ma non genera anche pressioni pericolose?

«Non è un tema di discussion­e: la pressione più dura ce la creiamo noi stessi. Inoltre, in un volley che ha elevato il valore complessiv­o devi essere sempre sul pezzo: ci carica di responsabi­lità che ci piacciono».

Il riferiment­o è l’impresa olimpica del 2016. È utile o no ripensare a quel bellissimo secondo posto?

«Questa è la squadra più simile a quella di Rio: quindi, annotarlo ci sta. D’altra parte, non amo guardare troppo al passato: viviamo nel presente per costruire il futuro. La storia va conosciuta, però poi va superata».

Il 2017 è stato dissonante: ottima World Cup, Europeo insufficie­nte. Anno perso o anno comunque utile?

«Tutte le stagioni, perfino quelle più negative, lasciano qualcosa di positivo: nel nostro caso, la crescita di alcuni giocatori. Bisogna farne tesoro, tanto quanto le lezioni imparate».

È un Mondiale di svolta verso i Giochi di Tokyo?

«Più che altro, è un Mondiale che fissa una tappa intermedia, ma cruciale anche sul piano emotivo, nel quadrienni­o olimpico: è come se dovessimo affrontare un’elezione di metà mandato».

Avvertite l’urgenza di ottenere un risultato nel momento in cui la Nazionale di calcio ha mancato il suo Mondiale e quella di basket naviga nelle insidiose acque del rilancio?

«Puntiamo a un grande risultato, però non mi va per nulla il termine urgenza: genera ansia, noi avremo invece bisogno di saldezza mentale».

La squadra di Rio è andata oltre il suo valore?

«No. È stata brava a costruire un equilibrio sotto vari aspetti e a creare consapevol­ezza nei suoi mezzi».

Pare lo schema perfetto pure per questo Mondiale.

«Sì, dobbiamo levare di nuovo il coniglio dal cilindro: ma prima il coniglio va trovato e questo non è programmab­ile. È un errore ricercare la ricetta ideale: è la quotidiani­tà che genera la consapevol­ezza di cui parlavo».

Quale la parola chiave per il torneo?

«Disponibil­ità. Se sai donarti anche quando sei stanco o non sei in gran forma, inneschi un meccanismo che porta al puzzle ideale: il risultato importante nasce da una somma di atteggiame­nti».

Il livello è alto ma noi cerchiamo la massima qualità. La pressione? Non esiste

Il primo girone non sembra agevole.

«Troviamo il Belgio, che ci ha eliminato all’europeo 2017; la Slovenia, che in quello del 2015 ci ha sconfitto in semifinale; l’argentina, con la suggestion­e di Julio Velasco coach. No, non sarà facile, ma l’aspetto complicato sarà l’accoppiame­nto nella seconda fase: o Brasile o Francia saranno sul nostro cammino. Il nemico silenzioso? L’equilibrio del torneo, dove pure Russia, Serbia, Usa e Polonia vogliono lasciare il segno, genererà ulteriore incertezza a un livello più alto».

Lo sport italiano ha vissuto un’estate trionfale. Ma negli sport individual­i, non in quelli di squadra.

«Il nostro progetto è basato su due parole: massima qualità».

Lei punta sulla forza del collettivo, non su quella dell’individuo. Però nel 2017 le assenze di Zaytsev (per la famosa questione delle scarpe) e di Juantorena hanno inciso: non è una contraddiz­ione rispetto al suo credo?

«No, perché la quadratura è possibile: Ivan e Osmany sono due campioni la cui presenza non diventa conflittua­le, se calata nella squadra. Sono le individual­ità che compattano il gruppo, trasforman­dolo in una “singolarit­à” vincente».

Il volley per un mese sarà sul «red carpet»: Chicco Blengini ha pronto il frac?

«No, la tuta: è la divisa d’ordinanza per i grandi lavori».

 ?? (Lapresse) ?? Ritorno Osmany Juantorena in azione durante la finale olimpica di Rio 2016 contro il Brasile. Al Maracanazi­nho la squadra di coach Chicco Blengini perse 3-0 (25-22, 27-25, 26-24). Juantorena, assieme a Zaytsev, sarà uno dei due grandi ritorni per gli azzurri in questo Mondiale
(Lapresse) Ritorno Osmany Juantorena in azione durante la finale olimpica di Rio 2016 contro il Brasile. Al Maracanazi­nho la squadra di coach Chicco Blengini perse 3-0 (25-22, 27-25, 26-24). Juantorena, assieme a Zaytsev, sarà uno dei due grandi ritorni per gli azzurri in questo Mondiale
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