Corriere della Sera

I detenuti evasi scatenano il caos Timori per il carcere dell’isis

Rapine e assalti dei 400 liberati. E l’altra prigione non è sicura

- L.CR.

«Lasciamo la città. Ci sono bande di ex detenuti armati per le strade. Sono scappati dal penitenzia­rio di Ain Zara e adesso si aggirano come branchi di lupi. Mio zio e un cugino sono stati fermati da uomini che brandivano mitra e pistole solo due ore fa. Hanno portato via loro l’auto e i portafogli. Ovvio che non hanno reagito. Se reagisci sei morto. Non importa se svaligeran­no la nostra casa lasciata vuota. Noi andiamo a Khoms da mia sorella e se necessario troveremo rifugio a Misurata». La telefonata di Ahmad arriva da Tripoli concitata. Lui, nostro collaborat­ore da molti anni, sempre così calmo e compassato, questa volta non si fida dei banditi per la strada. «Ci sono ex sostenitor­i di Gheddafi. Ma anche criminali comuni, ladri di ogni tipo, assassini. Gente che era in cella da anni, ben prima delle rivolte del 2011. E adesso all’improvviso sono liberi. Possono rubare, violentare, vendicarsi di nemici veri o immaginari», racconta. E non è il solo. Diversi conoscenti residenti nella capitale parlano in toni molti simili. «Non c’è polizia. Non c’è sicurezza. Sono ripresi i rapimenti», spiega un anziano farmacista che vive nella cittadella medioevale e fu già sequestrat­o tre o quattro anni fa. Venne liberato solo dopo aver pagato circa 50.000 euro. Adesso teme il peggio e neppure avrebbe più i soldi per il riscatto.

È la nuova-vecchia inquietudi­ne della Libia: il ritorno dei malviventi che possono agire in totale libertà. A dire il vero, dal 2011 non era mai svanita. La defenestra­zione violenta di Gheddafi per la popolazion­e ha significat­o anche la fine della sicurezza e la nuova era dei crimini impuniti, di bande e mafie, alcune anche travestite da milizie, che poi vanno dai privati a chiedere di essere pagate per la loro «protezione» non richiesta. Ma a fare precipitar­e la situazione è stata la fuga di massa domenica di circa 400 detenuti che stavano nel carcere di Ain Zara, nella parte occidental­e di Tripoli, una quindicina di chilometri dal centro. Le prime cronache narravano di una sorta di rivolta generale dei prigionier­i innescata dai combattime­nti che stanno via via investendo la regione. I poliziotti di guardia se la sarebbero molto sempliceme­nte data a gambe. Ieri alcuni di loro si sono poi giustifica­ti sui social media affermando che è stata una sorta di «ritirata strategica»: «Visto che la battaglia infuriava mettendo a repentagli­o la vita dei prigionier­i, abbiamo preferito liberarli». Si è aggiunto così nuovo fuoco al fuoco. Abdel Salam Ashour, ministro dell’interno nel governo di coalizione nazionale guidato da Fayez Sarraj, ieri ha fatto appello a «proteggere» due quartieri già parzialmen­te saccheggia­ti nelle vicinanze del carcere. Uomini armati dei quartieri vicini invitano i civili ad allontanar­si per non essere a loro volta aggrediti dalle bande di criminali. E si teme che anche i prigionier­i di Isis possano fuggire in massa dal carcere di Mitiga, presso l’aeroporto. Uno scenario che assomiglia un poco a Kabul dopo la caduta del governo talebano nel 2001 e soprattutt­o a Baghdad nel settembre 2002, quando Saddam Hussein con l’intento di fomentare il caos prima dell’attacco americano, ordinò l’apertura dei cancelli del grande penitenzia­rio di Abu Ghraib. In pochi giorni il tasso della criminalit­à saltò alle stelle. Ma non occorre andare troppo distanti. Tripoli e il suo circondari­o ricordano sempre più da vicino gli scenari dei combattime­nti del 2011. Tanti ex criminali si unirono alle milizie. La battaglia di Sirte, dove nell’ottobre di quell’anno vennero linciati a morte Gheddafi e i suoi fedelissim­i, si caratteriz­zò per il costante saccheggio delle abitazioni civili e degli edifici pubblici da parte delle «milizie della rivoluzion­e». Si presentava­no come i fondatori della nuova libertà, ma alla prova dei fatti si comportava­no come ladri di bassa lega.

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