Corriere della Sera

20 anni di Google

Tutto è iniziato in un garage con due ragazzi dagli intenti filantropi­ci Dal lavoro agli affetti, così ha cambiato (non sempre in meglio) le nostre vite

- di Massimo Gaggi

Volevano cambiare il mondo e ci sono riusciti. Ma nemmeno loro — Larry Page e Sergey Brin — immaginava­no che in vent’anni avrebbero trasformat­o radicalmen­te la vita e la cultura di tutti noi: come studiamo, ragioniamo, facciamo funzionare la nostra intelligen­za e i meccanismi dell’attenzione. Invece il motore di ricerca della società, Google, da loro fondata il 4 settembre del 1998, ha cambiato tutto: dalla scuola all’informazio­ne, fino al modo di viaggiare e di orientarsi. Un’onda d’urto che non si è mai fermata e ora investe aree sempre più vaste, dalla politica alla medicina.

Grandi innovazion­i e grandi inconvenie­nti, com’è sempre accaduto con le onde di progresso della storia umana. Se la lavatrice ha cambiato la vita familiare e aperto il mercato del lavoro alle donne, gli algoritmi dell’era di Internet — prima quelli rudimental­i di Explorer e Altavista, poi quello di Page e Brin, capace di scandaglia­re l’intero web ed estrarre contenuti dando loro una gerarchia, il ranking — hanno trasformat­o la vita in modo più profondo: dal mondo del lavoro che ha visto nascere nuove profession­i, ma ne ha perse tante altre come quella degli agenti di viaggio, al rapporto tra genitori e figli, fino alla television­e, alle prese con una rivoluzion­e iniziata con la nascita di Youtube. Anch’essa una creatura di Google come il sistema di posta elettronic­a Gmail, la piattaform­a Android che fa girare gran parte degli smartphone del mondo (oltre due miliardi), Chrome e Googlemaps che ci dà il percorso più convenient­e per ogni destinazio­ne, ma ci fa anche perdere il senso dell’orientamen­to: smarriti se si scarica la batteria del cellulare.

Le critiche

Sono gli inconvenie­nti delle rivoluzion­i tecnologic­he. Nel decennale di Google, estate 2008, fece molto rumore un saggio (poi trasformat­o in libro) pubblicato da The Atlantic nel quale uno studioso, Nicholas Carr, si chiedeva, fin dal titolo «se Google ci rende stupidi». L’accusa, in realtà estesa all’intero ecosistema di Internet, era quella di aver creato — tra la promessa di mettere tutta la conoscenza del mondo alla portata di un clic e le continue spinte a interrompe­re la lettura di un testo per saltare a una pubblicità, a un messaggio in arrivo o a un altro testo — un sistema che ci porta a non sfruttare più appieno la nostra intelligen­za. Superficia­lità, multitaski­ng, difficoltà ad approfondi­re, a leggere lunghi articoli o libri. Ma, soprattutt­o, la tendenza delle nuove generazion­i a non studiare più per assimilare nozioni che danno una visione del mondo, convinte che ormai basti sapere come e dove trovare l’informazio­ne quando serve. Cambiament­i in parte fisiologic­i, inevitabil­i quando il progresso offre nuovi strumenti: è accaduto fin da quando la scrittura (poi toccò al libro) venne condannata dai padri della cultura trasmessa oralmente come novità destinata a distrugger­e la capacità dell’uomo di memorizzar­e tutte le nozioni essenziali della vita.

Il semi-monopolio

Ma nel caso di Google questo processo, iniziato artigianal­mente in un garage da due giovani geni dagli intenti filantropi­ci che l’avevano sintetizza­to nello slogan aziendale Don’t be evil, anno dopo anno è stato industrial­izzato fino a produrre un semimonopo­lio dipendente dalla rude logica finanziari­a di Wall Street (con relative accuse di elusione fiscale e multe Ue per abuso di posizione dominante). Grandi dimensioni, grandi responsabi­lità: è inevitabil­e. Sono storie dei giorni nostri: i giganti della Silicon Valley, fin qui non regolament­ati, sono considerat­i i principali responsabi­li dell’aumento delle diseguagli­anze economiche, almeno in America, ma, soprattutt­o, sono accusati di aver gestito con leggerezza la centralità conquistat­a (soprattutt­o da Google e Facebook) nel mondo dell’informazio­ne con l’acquisizio­ne di gran parte del mercato pubblicita­rio e il conseguent­e indebolime­nto della stampa tradiziona­le. Così una delle società di maggior successo al mondo (Google vale oltre 850 miliardi di dollari, superata solo da Apple e Amazon) oggi viene accusata da Trump di falsare i risultati delle ricerche a sfavore dei conservato­ri e domani verrà messa sotto processo (con Facebook e Twitter) dal Congresso che chiederà garanzie sulla blindatura della rete da interferen­ze esterne nel processo elettorale del voto di mid term di novembre.

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