«Giovani, geniali, maledetti: Schiele incontra Basquiat»
dell’advisor Jean-paul Claverie foto), ex consigliere del ministro alla Cultura francese Jack Lang
● L’edificio che ospita la Fondation, a Parigi, è stato progettato dall’architetto Frank Gehry (1929): la costruzione, futuristica e leggera, rappresenta un vascello dalle vele spiegate e sorge nel parco di Bois de Boulogne
● Dal prossimo 3 ottobre(e fino al 14 gennaio 2019 ) la Fondation (fondation louisvuitton.fr) proporrà negli spazi progettati da Gehry, due mostre dedicate a Jean-michel Basquiat e a Egon Schiele
La miscela è di quelle (piacevolmente) esplosive, molto simile al fantastico mix che già aveva portato sul Bois de Boulogne, nel grande vascello-museo progettato da Frank Gehry per la sede della Fondation Louis Vuitton di Parigi, 1.205.063 visitatori in quattro mesi e mezzo (dal 22 ottobre 2016 al 5 marzo 2017), con una media di 9.800 visitatori al giorno. Allora era stata la collezione di Sergei Shchukin, il grande mecenate russo che prima della Rivoluzione aveva fatto conoscere al mondo Matisse, Picasso, Monet, Gauguin, Van Gogh, Cézanne. Ora, anzi tra meno di un mese (il 3 ottobre, ancora una volta nel vascello-museo di Gehry), toccherà a un’accoppiata mai tentata prima: due mostre che, in contemporanea, celebreranno (sempre sotto il segno della Fondation Louis Vuitton che ha in Suzanne Pagé il proprio direttore artistico) Jean-michel Basquiat e Egon Schiele, il James Dean in black (più o meno involontario) dell’underground newyorkese che aveva fatto impazzire Warhol e il tragico Macbeth dell’espressionismo viennese che amava dire: «Arriverò ad un punto in cui si avrà paura della grandezza di ognuna delle mie opere». Due artistar ante litteram, uniti da un (inquietante) particolare anagrafico: la morte, per entrambi, arrivata a solo 28 anni.
«Non lo sapeva?», Jean-paul Claverie, già consigliere del ministro alla cultura francese Jack Lang («un’esperienza bellissima») e anima ispiratrice della Fondation Louis Vuitton («creatività e qualità, ecco la nostra formula»), sorride divertito davanti all’incertezza dell’intervistatore. E, davanti a un tavolo (e ad un caffè che non berrà) del Bauer di Venezia (dove ha appena inaugurato all’espace Vuitton una mostra dedicata a Ian Cheng, giovane video-artista sino-americano in grande ascesa), racconta, alternando francese e inglese, come tutto nasce: «L’ultima scelta è sempre di Monsieur Arnault». Ovvero di Bernard Arnault, imprenditore e proprietario del gruppo LVMH e grande amante e collezionista d’arte.
Un incontro quasi casuale il loro, ma che ha fatto scoccare la scintilla: «Ho capito subito che era una persona dalla grandissima sensibilità, per questo ho subito accettato di lavorare con lui, ma gli ho subito detto: deve fare una Fondazione». Perché? «Monsieur Arnault è un grande collezionista d’arte, ma la sua collezione privata è appunto privata, è qualcosa che fa per un suo piacere e per una sua passione privata: volevo, invece, che tutto questo potesse essere percepito all’esterno». E una fondazione è il modo migliore? «Credo proprio di sì, almeno come la intendiamo noi: la nostra Fondation racconta quello che è, quello che è stato, quello che sarà il nostro gruppo, ma racconta anche i nostri proget- ti nel campo dell’arte, della ricerca scientifica, dell’educazione — spiega Claverie —. Certo mettere insieme una fondazione non è così semplice come creare una collezione privata: quando decidi di condividerla devi essere ancora più rigoroso, devi cercare di fare qualcosa di ancora più speciale, qualcosa che lasci davvero il segno». Con la Fondation Louis Vuitton hanno lavorato (tra gli altri) Sol Lewitt, Richard Prince, Takashi Murakami, Jeff Koons e Olafur Eliasson che per la sede progettata da Gehry ha realizzato un’installazione sitespecific («Inside the Horizon») pensata a misura di quel «Grotto» ispirato alle auliche grotte del Rinascimento. Facile o difficile lavorare con gli artisti? «Non è mai semplice, ma per noi è ormai diventato naturale, abbiamo trovato la formula giusta». Quale? «L’artista deve capire l’anima del brand e noi ci impegniamo a rispettare la sua libertà, la sua sensibilità, la sua fragilità e direi che finora ci siamo riusciti alla perfezione». Come esempio di questo rapporto positivo tra la Fondation e i grandi creativi contemporanei Jean-paul Claverie (una doppia laurea in Economia e in Medicina prima dell’incontro, ancora una volta casuale, con Lang) cita il successo «tremendous» della collezione firmata da Koons per Louis Vuitton e le tre stanze dedicate a Murakami nella (appena conclusa) mostra «Au Diapason du Monde». L’accoppiata Basquiat-schiele (due mostre diverse e distinte accomunate dal medesimo progetto culturale) promette, dunque, scintille. Ma quanto sono importanti queste mostre-evento per il progetto globale della Fondation? «Sono fondamentali: l’entusiasmo aiuta a rendere ancora più riconoscibile e condivisibile la nostra missione». Ma perché soprattutto arte contemporanea? «La Fondation è nata per dedicarsi al contemporaneo, per creare una coscienza dell’oggi, ma non ci siamo mai voluti scordare del passato, di quello che siamo stati».
Claverie (che tra le sue passioni mette Caravaggio e Yves Klein) cita a questo proposito i restauri di Poussin e della Maison de la Reine oltre alla strettissima collaborazione avviata da LVMH con il Musée Picasso di Parigi. Perché monsieur Claverie è anche advisor di Bernard Arnault, il che significa che oltre al suo ruolo alla Fondation Louis Vuitton, riveste un ruolo molto importante in LVMH nel campo dell’arte: ed è proprio LVMH ad aver supportato direttamente queste attività di restauro e sostegno. D’altra parte, aggiunge Claverie, «quando siamo a nostro agio con il passato siamo già pronti per il futuro, e quando mettiamo in mostra un artista antico lo facciamo subito diventare contemporaneo».
Certo, anche un architetto come Frank Gehry può essere d’aiuto nell’impresa: «C’è stato un feeling immediato, proprio come deve succedere perché un progetto riesca alla perfezione. Dopo il primo incontro con Monsieur Arnault a Parigi, Frank non è più riuscito a dormire e già in volo verso Los Angeles ha buttato giù gli schizzi per la nuova Fondazione, sono schizzi ma il progetto è rimasto praticamente lo stesso». Tutta colpa di Proust, verrebbe da dire, che proprio Gehry avrebbe citato durante quel primo appuntamento,a lungo rimandato per i troppi impegni di entrambi e poi arrivato rapidissimo dopo che (finalmente) «ero riuscito a portare monsieur Arnault a vedere il Guggenheim di Bilbao». Quello stesso Proust che Jean-paul Claverie («Sono stato fortunato: i miei genitori, e soprattutto mia madre, amavano l’arte») a sua volta cita parlando della sua personale passione per il bello: «Mi ricordo ancora la mia prima volta alla Chapelle de Milly-la-forêt decorata da Jean Cocteau e a Ronchamp nella chiesa di Notre-dame du Haut progettata da Le Corbusier, ero solo un ragazzo — dice con un sorriso —. Ci torno spesso e ogni volta mi emoziono, perché davanti al bello devi sentirti come quando rileggi la Recherche: conosci già la storia, ma provi sempre la stessa, fortissima emozione della prima volta».
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La nostra formula è: creatività e qualità. Il presidente di LVMH non è solo un collezionista, ha una spiccata sensibilità artistica Tra lui e Frank Gehry ci fu feeling subito: l’architetto non dormì finché non buttò giù gli schizzi dell’edificio di Bois de Boulogne