IL CASO PESCI E I CARNEFICI CHE CREDONO NELL’IMPUNITÀ
Caro Aldo,
l’episodio di violenza avvenuto a Parma e del quale si accusa Federico Pesci, un noto imprenditore, fa capire quanto a volte la mente umana davvero porta ad azioni inaudite e incomprensibili, anche da parte di persone all’apparenza normali. Ora l’uomo è in carcere con l’accusa di aver violentato e seviziato per ore, insieme al suo pusher nigeriano, una giovane di 21 anni, tenuta legata e imbavagliata nel suo attico in una notte di orrori tra il 18 e il 19 luglio. La giustizia farà il suo corso, ma se fosse vero non me ne farei una ragione: vuoi vedere che molte volte sono proprio gli insospettabili a farla franca?
Patrizio Vinci
Caro Patrizio,
Èsempre difficile giudicare una vicenda non ancora chiarita sul piano processuale; aspettiamo le sentenze per trarre conclusioni definitive; ma non si può per questo lasciar passare sotto silenzio una storia orrenda e significativa come quella di Parma. Tra i tanti dettagli ce n’è uno che colpisce in modo particolare. Federico Pesci ha accolto le forze dell’ordine che venivano ad arrestarlo con stupore: «Uno come me in galera?». Non soltanto all’evidenza non aveva coscienza del male commesso; si era convinto della propria impunità. Visto il set da tortura che aveva in casa, gli inquirenti credono che la ventunenne ridotta in condizioni che il medico di turno non aveva mai visto in sette anni di servizio al pronto soccorso non sia stata la prima a subire un simile trattamento, con il concorso dello spacciatore nigeriano. Del resto, la ragazza non è andata a denunciare spontaneamente i suoi torturatori. In un primo tempo aveva taciuto. Sono stati i genitori a insistere e a darle il coraggio di raccontare tutto all’autorità pubblica. Del resto, è noto che la grande maggioranza delle molestie e delle violenze sessuali non vengono denunciate. Non siamo riusciti a costruire una cultura in cui a vergognarsi debba essere il carnefice, non la vittima. Per cui lei tace, e lui si stupisce quando qualcuna parla. Il resto lo fa la sfiducia verso lo Stato, l’idea fatalista che in Italia il male sia destinato a restare impunito.