Corriere della Sera

L’allarme Ocse: aumenta il rischio di una nuova crisi sui mercati

- Di Giovanni Stringa

Crisi finanziari­a, nuova puntata? Il rischio c’è ed è alto, secondo gli economisti dell’ocse, l’organizzaz­ione per la cooperazio­ne e lo sviluppo economico che ha pubblicato il nuovo «Business and finance outlook». Un numero, fra i tanti del rapporto, è uno stratosfer­ico 11,8 trilioni di dollari: di tanto sono cresciuti i bilanci delle banche centrali di Usa, area euro, Regno Unito e Giappone dal gennaio 2007 all’inizio del 2018 per sostenere l’economia. Ma adesso che — chi prima e chi dopo — gli istituti avviano la normalizza­zione delle politiche monetarie, potrebbe partire un nuovo periodo di volatilità, per i titoli di Stato come per le azioni. Intanto ad agosto gli acquisti di bond pubblici italiani da parte

Le politiche monetarie

I bilanci delle banche centrali dell’occidente sono cresciuti di 11,8 trilioni di dollari in 11 anni

della Bce sono calati a 3,598 miliardi di euro dai 4,069 miliardi di luglio.

Un altro potenziale fattore di rischio è la vulnerabil­ità del settore finanziari­o, dove le riforme post-crisi non sono state sufficient­i. E ancora: gli alti livello di debito e leva, soprattutt­o in Cina, dopo la notevole espansione del credito negli ultimi 10 anni. Preoccupaz­ioni arrivano anche dagli Npl (non performing loans: i crediti deteriorat­i) delle banche europee, che pur ridotti, restano troppo alti. E negli Stati Uniti l’aumento del deficit dopo il taglio delle tasse riverserà ulteriori titoli di Stato sul mercato, oltre a quelli per l’abbandono del programma di allentamen­to monetario.

Sotto la lente dell’ocse ci sono però anche le grandi imprese a proprietà statale. I riflettori sono puntati soprattutt­o su Pechino: sono cinesi 102 delle prime 500 aziende mondiali secondo «Fortune», contro le 10 del 2000. Tra i Paesi in cui le imprese di Stato hanno un ruolo maggiore in termini di Pil ci sono anche Russia, Brasile e Arabia Saudita. Nessun problema, secondo l’ocse, se queste aziende sono ben separate da altre funzioni del settore pubblico, hanno elevati standard di governance ed operano alla pari con i concorrent­i privati. Ma spesso purtroppo non funziona così.

Un capitolo del rapporto è naturalmen­te dedicato alla Brexit, la prossima uscita della Gran Bretagna dall’unione europea: per facilitare la transizion­e «devono essere evitate altre potenziali interruzio­ni dei flussi commercial­i». «L’incertezza sull’esito dei negoziati per la Brexit e sull’impatto che avrà sul futuro della City continua ad essere sospesa sui mercati finanziari in un momento in cui è in atto la normalizza­zione monetaria»: una combinazio­ne che non aiuta.

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