Troppe coperture e depistaggi Sui record africani l’ombra del doping
Tre test
● Sono 50 gli atleti trovati positivi negli ultimi tre anni con controlli programmati. Dall’1 gennaio chi non avrà superato tre test a sorpresa (al momento impossibili da effettuare) non parteciperà a Olimpiadi e Mondiali
Quando e quanto si dovrà riscrivere la storia dell’atletica leggera alla voce «corse di resistenza»? Tra dieci anni crederemo ancora che 92 delle 100 migliori prestazioni mondiali di maratona battano bandiera keniana o etiope solo per via degli allenamenti in quota che moltiplicano i globuli rossi, di fibre muscolari nobili, tendini indistruttibili ed enorme predisposizione al sacrificio dovuta alla fame? O terremo conto del recente rapporto dell’athletics Integrity Unit, unità indipendente di prevenzione antidoping, che segnala come, a dispetto di controlli blandi, ogni mese due keniani o etiopi finiscono nella rete del doping?
Della situazione drammatica si è accorta anche la federazione di atletica (Iaaf) che ha inserito le due nazioni in una categoria di controllo speciale (A): dal 1° gennaio 2019 etiopi e keniani intenzionati a partecipare a Olimpiadi e Mondiali dovranno superare almeno tre controlli a sorpresa a stagione. Normale in Europa o Usa, difficilissimo in Africa per difficoltà logistiche, mancanza di fondi e personale addestrato e per una rete di complicità che fa scattare l’allarme rosso appena un ispettore atterra a Nairobi o Addis Abeba. Non si parla di «mancati controlli», sanzionabili, ma di medici che girano a vuoto tra villaggio e villaggio o nella savana e tornano a mani vuote alla base.
I 50 positivi degli ultimi tre anni sono stati beccati con controlli programmati, ma una recente spedizione (mascherata da esperimento scientifico per non destare sospetti) di consulenti Iaaf ha definito «imbarazzanti» i parametri ematici medi della popolazione di fondisti lontani dalle gare. Appena i controllori