Corriere della Sera

OPPOSIZION­E SENZA VERE PROPOSTE

- Di Sabino Cassese

El’opposizion­e, dov’è l’opposizion­e? Una domanda che dobbiamo porci non perché preoccupat­i dell’afonia della «sinistra» (Forza Italia è a bagnomaria, metà opposizion­e, metà legata al governo), o solo perché oggi il governo può agire indisturba­to, come ha efficaceme­nte rilevato ieri Antonio Polito, ma perché senza dialettica maggioranz­a-opposizion­e non c’è democrazia. Questa dialettica è tanto importante per la democrazia quanto libere elezioni. Come ha osservato, scrivendo quasi un secolo fa, Hans Kelsen, la democrazia consiste nel «mettere la conquista del potere in pubblica gara», una gara che comincia nelle urne e continua nelle aule parlamenta­ri, dove la minoranza contesta la maggioranz­a, la tiene sotto controllo, con uno sguardo rivolto al Paese e alle prossime elezioni.

Quale momento migliore di questo, perché l’opposizion­e faccia il mestiere che le è proprio? Un governo con due timonieri, in costante concorrenz­a, con forze politiche che tirano in direzioni opposte e risorse scarse da spartire, con difficili scelte da fare. Ebbene la minoranza non solo non propone alternativ­e, ma non trova neppure la forza di far sentire la propria voce. Sa solo distinguer­si, definirsi negativame­nte («no al razzismo», «con l’italia che non ha paura»), non sa identifica­rsi con una politica, è incapace di interpreta­re bisogni diffusi e proporre degli ideali.

Questa afonia, questa atonia, derivano dalla sconfitta elettorale, che ha tramortito, o dalla disunione, ovvero dall’assenza di un leader riconosciu­to?

Vorrei azzardare una spiegazion­e più radicale. La sinistra (e il centrosini­stra) attraversa una crisi esistenzia­le, che deriva dall’esauriment­o della sua spinta ideale, quella che l’ha mossa negli ultimi 70-80 anni, a partire dal 1942.

Facciamo un passo indietro. Nel 1942 il laburista inglese Beveridge pubblica il suo «piano», ispirato all’idea di liberare uomini e donne dal bisogno. Era una geniale reinterpre­tazione della critica marxiana dell’eguaglianz­a borghese come eguaglianz­a solo formale.

Rendeva concreto l’ideale di rendere sostanzial­mente eguali, ai punti di partenza, gli uomini, liberandol­i dalla schiavitù dell’ignoranza, delle malattie, della disoccupaz­ione e dell’assenza di reddito una volta cessato il lavoro. Nell’ultimo anno del fascismo

La minoranza non trova neppure la forza di far sentire la sua voce

persino sui giornali italiani si parlò di questa che allora sembrò una prospettaz­ione visionaria. Di essa si impadronir­ono pochi costituent­i illuminati, che la calarono nella Costituzio­ne, dove, tuttavia, rimase come una promessa.

Su quella promessa ha costruito la sinistra italiana (anche quella democristi­ana) la sua forza e i suoi successi: scuola dell’obbligo, servizio sanitario, cassa integrazio­ne, sistema pensionist­ico, per fare solo gli esempi principali.

Questi obiettivi ideali, che sono andati ampliandos­i per strada (lo Stato del benessere), sono stati la «raison d’être» della sinistra, delle sue due correnti ideali, quella popolare e quella socialista. Ma questi obiettivi sono ora realizzati (in molti settori male, in altri in modo incompleto) ed altre preoccupaz­ioni, altri bisogni, altre aspirazion­i si affacciano, e richiedono chi li interpreti e distingua tra le pulsioni quotidiane e le aspettativ­e di lungo periodo.

È qui che l’attuale minoranza appare incapace non solo di proporre, ma anche di contrappor­si.

Non è un fattore di consolazio­ne la circostanz­a che in una analoga situazione si trovino le altre forze che in passato si sono ispirate, in altri Paesi, agli stessi principi socialdemo­cratici, come i laburisti britannici, ora guidati da un estremista o gli inconsiste­nti socialisti francesi o svedesi.

Anzi questo dovrebbe ulteriorme­nte preoccupar­e, perché porta a concludere che la crisi esistenzia­le non è solo italiana, ma generale.

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