Di Maio, Talete e gli acquaraquà
Anche Einstein, intervistato sei volte al giorno, avrebbe finito per dire una sciocchezza. Di Maio non è Einstein. Potrebbe esserlo, intendiamoci. Ma gliene manca il tempo, con tutto quello che ha da fare e soprattutto da dichiarare. E poi la sua, più che di una sciocchezza, ha l’aria di una clamorosa rivelazione: «Il ritorno all’acqua pubblica è un tema culturale del Paese perché l’acqua è quello di cui siamo costituiti per oltre il 90%», ha detto in tv a «Presa diretta». Ora, va bene essere sovranisti, però sostenere che in Italia l’acqua deve essere pubblica perché gli italiani ne sono pieni fino alla gola, significa discriminare i diritti acquatici degli stranieri. Forse i russi sono fatti di vodka e gli esecrati francesi di champagne? E un alpino cresciuto a «cicchetti» non prenderà l’affermazione come un affronto?
C’è un altro problema. La percentuale di acqua nel corpo umano (ancorché francese) è del 60%. Se fosse del 90%, come dice Di Maio, saremmo tutti meduse e Salvini potrebbe mandarci a presidiare le coste con una certa efficacia dissuasiva. I soliti prevenuti sentenzieranno che adesso Di Maio dovrà rivedere al ribasso le sue percentuali, come già sta facendo con le pensioni e il reddito di cittadinanza. E se invece fosse stata l’esosa e arida Europa ad accaparrarsi quel 30% che manca all’appello? Talete, primo filosofo della storia, sosteneva che l’acqua era il principio di tutte le cose. E tra Talete e l’europa, com’è giusto, il suo collega Di Maio ha scelto Talete.