Weber si candida «L’europa al popolo» L’ostacolo è Macron
Il bavarese favorito per succedere a Juncker
Come da copione, Manfred Weber, attuale leader dei popolari al Parlamento di Strasburgo, ha annunciato ieri la sua candidatura a guidare il Ppe alle Europee del 2019. Cristianosociale bavarese, 46 anni, Weber ha ottime possibilità di ottenere la nomination del partito nel Congresso di novembre a Helsinki, primo passo per puntare alla presidenza della Commissione europea.
Ma a differenza di cinque anni fa, il sistema dello Spitzenkandidat, il candidato di punta votato dagli elettori europei e sostenuto dal Parlamento della Ue, trova nell’attuale congiuntura politica e nella posizione di numerosi governi dell’unione una serie di ostacoli che potrebbero rivelarsi insormontabili.
«L’europa è a una svolta — ha detto Weber nel suo annuncio via Twitter —, la sfida è difendere i nostri valori, perché siamo attaccati dall’interno e dall’esterno. Si tratta della sopravvivenza del modello di vita europeo». Secondo Weber, l’unione non può più andare avanti con il solito tran tran: «L’europa non è un’istituzione di burocrati ed élite. Io cercherò di restituirla al popolo. È necessario un nuovo inizio per avere un’europa migliore, più unita e più democratica». In quello che potrebbe diventare lo slogan della sua campagna e un messaggio lanciato alle crescenti schiere di elettori attratti dalla sirene sovraniste, Weber ha concluso: «Io voglio rinnovare il legame tra il popolo e l’unione europea».
Ci sono tutte le condizioni perché Weber ottenga l’investitura dei cristiano-democratici europei. Non ultimo, egli si è già assicurato l’endorsement di Angela Merkel, che ieri ha confermato di appoggiare la sua candidatura. Quanto alla Cdu tedesca, la forza politica più grande del Ppe e primo partito del maggior Paese della Ue, annuncerà ufficialmente il suo appoggio a Weber lunedì. È quindi improbabile che possano impensierirlo altri potenziali candidati, come l’ex premier finlandese Alexander Stubb o il capo negoziatore della Brexit, il francese Michel Barnier.
Ma è la strada di Weber verso il Berlaymont a essere disseminata di trappole. La crisi delle grandi famiglie politiche europee, da quella catastrofica dei socialisti a quella a macchia di leopardo dei popolari, cambia infatti la dinamica che nel 2014 fece da sfondo alla Spitzenkandidatur. Stando ai sondaggi attuali il Ppe è ancora in testa, ma non supera il 30%. Non più maggioritaria, la Grande Coalizione con i socialisti è politica- mente finita. Mentre le forze sovraniste sono date in costante ascesa. Detto altrimenti, nell’europarlamento che verrà non ci saranno più le condizioni per ripetere la prova di forza con il Consiglio europeo, che cinque anni fa portò Jean-claude Juncker al vertice della Commissione.
Tanto più che il presidente francese Emmanuel Macron, il quale in teoria con En Marche potrebbe compensare i vuoti dell’alleanza europeista, ha già
fatto sapere di non appoggiare la procedura dello Spitzenkandidat, preferendo riportare la nomina del presidente della Commissione nell’ambito dei capi di Stato e di governo, come da Trattato. In questo caso, difficilmente Weber avrebbe una chance, primo in quanto tedesco e secondo non avendo mai ricoperto un incarico governativo di vertice. Al Parlamento resterebbe tuttavia in mano l’arma nucleare, quella di negare la fiducia al prescelto del Consiglio.
A meno che, come anticipato dal nostro giornale, l’operazione Weber, costruita nel segno della difesa dei valori e di una linea dura sull’immigrazione, non trovi spazio, consensi e perfino alleanze a destra. Per esempio in partiti come la Lega, grazie al lavorio sotto traccia di Viktor Orbán, oggi sovranista camuffato da popolare domani forse nuovo maitre à penser dei cristiano-democratici. Ma questa è un’altra storia.