Nonna Peppina torna a casa «Sono stata coraggiosa Ma ora ricostruite in fretta»
Macerata, la 95enne è diventata uno dei simboli del post terremoto
ROMA «Sto un pochetto meglio. Non posso respirare tanto bene da quando mi sono presa la bronchite, nel container. Mi fa ancora male il polso, che me lo sono rotto quando stavo nella roulotte. Ma sono contenta». È tornato il sorriso a nonna Peppina.
Gli occhi lucidi, la voce un po’ tremante per l’emozione, ieri, per la prima volta, la novantacinquenne di San Martino di Fiastra ha potuto varcare la soglia di quella casetta di legno, dove avrebbe voluto attendere la ricostruzione dell’abitazione crollata con la scossa del 30 ottobre del 2016. Ma le era stata sequestrata per un cavillo: la mancanza di un’autorizzazione paesaggistica (già richiesta e dovuta, ma che tardava ad arrivare). Un perfezionismo burocratico nel caos post-terremoto che ha scandalizzato l’italia e ispirato una norma per tutti i casi come il suo.
«Sono contenta che sono viva e che sono potuta ritornare qui nel mio paesino. Dove c’è l’aria buona. E si sta bene. Anche se comincia a fare un po’ freschetto», spiega con una serenità commovente per chi ha pagato molto. «Ho avuto tanto coraggio. C’è voluta tanta forza», ammette.
Prima il freddo e gli spifferi del container che era lì dal precedente terremoto, in cui si era trasferita. E la previsione della figlia Gabriella — che invano aveva fatto costruire la casetta a spese proprie e su un terreno di proprietà edificabile — si era avverata: era arrivata la bronchite, problemi respiratori e cardiaci. «Poi mi hanno levato pure il container» dice, alzando le spalle e sorridendo di ironica rassegnazione. Per un po’ era stata in una roulotte. «Certo, sarei potuta stare nella casetta bella calda. Invece no. E che vuoi fare? Ci vuole pazienza», dice, senza rinfacciare a nessuno quella caduta, in un ambiente così poco adatto a un’ultranovantenne. Dice solo: «Adesso La vicenda ● Ieri la donna, che intanto ha vissuto in un container, è rientrata a casa non riesco tanto bene e fare le cose con tutte e due le mani. E va bene. Ma sono contenta che ho ritrovato qui le mie galline e il mio gatto. Le mie figlie, Agata e Gabriella, si sono preoccupate di dargli da mangiare. Oggi mi hanno riaccompagnato. Mi hanno fatto festa. C’è chi resta qui con me. Insomma non mi hanno abbandonato».
«Certo le è costato molto caro», dice la figlia Gabriella. Senza rabbia, ma con profonda amarezza. «È stata in ospedale due volte. Ha dovuto fare riabilitazione. Ci ha fatto molto preoccupare. Sono subentrati problemi cardiaci. Ora si è ripresa, ma, non è più la stessa dell’anno scorso. È vero che la salute delle persone anziane è sempre a rischio. Ma certo questa vicenda non le ha giovato. È esile e sempre più fragile».
Un’amarezza che aumenta nel vedere quanto quell’assurdo divieto sia ormai stato superato ovunque. In attesa di una ricostruzione ancora al palo, sono ormai spuntate dappertutto soluzioni abitative alternative. Anche grazie alla norma «salva-peppina».
Lei sa di essere diventata un simbolo. Ma, con umiltà, dice: «Ringrazio tutti. Chi mi ha voluto bene e chi mi ha voluto male. E alle altre persone che hanno sofferto come me dico: bisogna sopportare e andare avanti. Essere forti. Come ho fatto io. Ma a chi ha la responsabilità di ricostruire le nostre case dico: qui è tutto com’era l’anno scorso. Dovete fare in fretta. E soprattutto fare bene».