Sciatori e cardinali Gli oggetti fabbricano ricordi
Sciatori tantissimi. Un manipolo di cardinali, un papa e un santo. Una donna nuda senza testa, una madonna rubata, una marchesa scomparsa... E poi un paio di Napoleoni, prima e dopo Waterloo, e sei Garibaldi sei, con camicia rossa, fazzoletto al collo o coppola sudamericana. Madamini, il catalogo è questo. E molto altro ancora. Come ogni collezionista compulsivo anche Cesare Rimini non rinuncia al piacere di porre in lista le sue conquiste. Memorabilia di una lunga vita spesa solo in parte nello studio legale che gli ha dato fama, per il resto in una convivialità familiare e non, che l’ ha portato a curiosare tra botteghe d’antiquariato e mercatini. Seguendo il filo rosso dell’incontro, del piacere della scoperta. E un tocco di fatalismo che l’ha convinto che le cose, dotate di vita propria come le persone, alla fine arrivano dove gli pare. E quando trovano la giusta casa dove fermarsi, un nuovo proprietario simpatico, magari iniziano pure a parlare.
Rimini, che il linguaggio degli oggetti lo conosce, ha deciso di riferire quei dialoghi in un libro che rende loro omaggio fin dal titolo, Le parole delle cose, edito da la Nave di Teseo (pagine 125, 23). Dove racconta la vita segreta di quelle creature dipinte su tela, scolpite nel vetro o nella porcellana, con cui felicemente coabita in città, al mare e in montagna. Dimore amate, curate in ogni dettaglio, dove — come scrive nella prefazione Natalia Aspesi — «tutto parla, tutto va ascoltato, tutto ha una ragione di essere».
Molto di certo hanno da dire i duecento sciatori che si contendono discese immaginarie, ciascuno sfoggiando le sue armi: la biondina in biscuit anni Trenta ammicca con berretto a pon pon a righe bianche e rosse, la brunetta audace impugna le racchette, si libera dei maglioni e mostra fiera il seno al vento. Una coppia di carta si bacia appassionatamente tra la neve, un solitario scende a rotta di collo da una montagna ripida, tracciata dalla penna elegante di Fabio Sironi. Cesare Rimini Stessa parete, tre sciatori russi anni Sessanta trovati a un’asta a Londra, raccontano di uno sci ruvido e ottimista ai tempi dell’urss. Niente a che vedere con il regale Umberto di Savoia, che sulle piste arriva in cravatta. Al suo fianco Maria José, vera principessa d’antan, in rigoroso abito scuro.
Ma la Wunderkammer dell’avvocato collezionista dalla barba bianca cela altri ospiti insospettabili, 16 cardinali settecenteschi appesi al muro, ciascuno con il suo stemma ben in vista, e un papa di pietra trecentesca, Urbano V, poi trasportato su barcone fino alla casa veneziana di Rimini, di fronte alla Salute. Dove il sant’uomo, promosso beato nel 1870, scelse come dirimpettaia una fanciulla di marmo nuda, più giovane di lui di sei secoli, scoprendo troppo tardi che nascondeva tra le gambe un sesso maschile.
Donna senza dubbio ma pure senza testa, è un’enigmatica creatura di Giacometti che ha trovato posto accanto al Cuneo dorato di Arnaldo Pomodoro, donato da Liliana Rimini al marito per i suoi 85 anni. E una terza donna, stavolta di vetro, dalle labbra rosse e impudenti, racconta la storia di un maestro vetraio amico di Picasso, ispirato dalla sua arte. Tra i tesori, un abito da sera cucito su misura per un Rimini diciottenne, passato poi al figlio e al nipote che si chiama come il nonno. E nonostante non si sia perso una festa, è ancora vispo e inappuntabile come allora. Il primo smoking non si scorda mai.