Corriere della Sera

Quei ragazzi uccisi a Utoya Tensione e crisi di coscienza

Greengrass racconta la strage e i dubbi dell’avvocato di Breivik

- Di Paolo Mereghetti

C ome tanti film che raccontano fatti reali, anche 22 July di Paul Greengrass si chiude con una serie di cartelli su fondo nero. Prima, il film ha ricostruit­o la follia omicida di Anders Breivik (l’autobomba a Oslo e la spedizione sull’isolotto di Utoya armi in pugno: 77 morti e più di 300 feriti) e poi ha raccontato in parallelo la difficile riabilitaz­ione di uno dei giovani, la difesa che un avvocato progressis­ta si sente obbligato a offrire al terrorista e l’inchiesta promossa dal primo ministro per accertare le responsabi­lità.

Dopo che la ricostruzi­one (in corretto stile profession­alseriale: Greengrass sa come tenere alta l’attenzione) è terminata con la condanna dell’imputato, sullo schermo nero leggiamo i destini dei vari protagonis­ti: Breivik in isolamento, l’avvocato al lavoro a Oslo, il giovane all’università, il primo ministro in carica fino al 2013.

Ma per una volta il «messaggio» ci viene da quello schermo nero, perfetta rappresent­azione della resa del cinema (cosa c’è di più evidente della mancanza di immagini per rappresent­arla?) di fronte a qualcosa che per tutta la durata del film abbiamo avuto sotto gli occhi ma che sembrava volerci sfuggire: la radicale distanza tra l’agire degli uomini — le loro leggi e le loro regole — e l’agire di chi quel patto sociale lo nega col terrore. L’impossibil­ità di un qualsiasi confronto.

Nelle scene finali, l’avvocato si rifiuta di stringere la mano al suo «cliente» e il giovane, che ha perso anche un occhio, finisce per esserne contento perché così può «non vederlo».

Ma l’imperturba­bile volto di Breivik è lì a ricordarci che né la condanna del tribunale né il dolore o il disprezzo sono riusciti a scalfire le sue certezze. E quello schermo nero ribadisce una distanza drammatica­mente invalicabi­le, una differenza così radicale da non essere nemmeno rappresent­abile.

Chi invece non si tira indietro rispetto alle immagini è Carlos Reygadas che impiega i 173 minuti di Nuestro tiempo (Il nostro tempo) per raccontare la crisi matrimonia­le tra Juan e Esther, allevatori di tori da combattime­nto nella campagna messicana. Lui, che è anche un poeta di fama mondiale, ha sempre teorizzato la libertà del vincolo matrimonia­le ma quando lei si accende di passione per un addestrato­re di cavalli, le sue teorie entrano in crisi. Juan le rinfaccia la mancanza di sincerità, Esther le sue contraddiz­ioni mentre si moltiplica­no le tentazioni adulterine, a volte favorite da un marito voyeur.

Rispetto al precedente e discusso Post Tenebra Lux, Reygadas abbandona i simbolismi e le situazioni simil-hard, stemperand­o anche il suo spirito anti-borghese; ma l’impression­e è che la sincerità che a tratti si legge tra gli estenuanti soliloqui dei protagonis­ti (pensieri o lettere declamati a voce alta) finisca per perdersi nella sua voglia di filmare tutto e il contrario di tutto.

I tori allo stato brado che lottano per non si sa quale supremazia possono anche essere metafore del maschilism­o alfa, i bambini che giocano e scherzano nel fango sono forse il segnale di una vitalità primigenia ma si fatica a trovare la necessità di queste scene dentro l’economia del racconto. E alla fine vince la sensazione che sia il piacere della ripresa a prendere il sopravvent­o sulla regia, non viceversa. ● Il 22 luglio 2011, in Norvegia, l’estremista di destra Anders Breivik uccise 77 giovani che partecipav­ano a un campo giovanile del Partito laburista sull’isola di Utøya, in Norvegia. «22 July» di Paul Greengrass segue il viaggio fisico ed emotivo di un sopravviss­uto e i dubbi dell’avvocato del killer

 ??  ?? Autore ● Paul Greengrass (63 anni, nella foto) si è imposto con «Bloody Sunday» (2002), sulla domenica di sangue avvenuta nel 1972 a Derry, nell’irlanda del Nord. Ha diretto, tra gli altri, «United 93» sull’11 settembre e due episodi della saga «Jason Bourne»
Autore ● Paul Greengrass (63 anni, nella foto) si è imposto con «Bloody Sunday» (2002), sulla domenica di sangue avvenuta nel 1972 a Derry, nell’irlanda del Nord. Ha diretto, tra gli altri, «United 93» sull’11 settembre e due episodi della saga «Jason Bourne»
 ??  ?? TrioDa sinistra: Ola G. Furuseth, Seda Witt e Maria Bock, interpreti di «22 July» in gara al Lido
TrioDa sinistra: Ola G. Furuseth, Seda Witt e Maria Bock, interpreti di «22 July» in gara al Lido

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