Morris: «Non mi pento di aver dato voce a Bannon»
VENEZIA «Quando gli ho chiesto: ti senti mai come il Lucifero del Paradiso perduto, l’angelo caduto convinto sia meglio “regnare all’inferno...” non mi ha fatto neanche terminare la frase e lusingato ha finito lui il verso di Milton: “...piuttosto che servire in paradiso”. È un uomo che considera un complimento essere paragonato a Satana».
Errol Morris è a Venezia con American Dharma il suo documentario, fuori concorso, sull’ideologo dell’ultradestra americana, stratega della vittoria di Trump alle presidenziali e guru riconosciuto dei sovranisti e populisti d’europa, dopo il suo allontanamento dalla Casa Bianca nell’estate del 2017. Steve Bannon, regista per nulla occulto di un progetto di rivoluzione populistica e costruzione di un nuovo ordine mondiale sulle ceneri dell’onu e della Ue. «Sono su posizioni opposte alle sue, considero la presidenza Trump come un brutto sogno. Ma fare gli struzzi è molto peggio. Il pericolo è enorme e prima lo capiamo meglio è».
È il documentario stesso, in verità, a essere stato definito «pericoloso» da parte della stampa Usa che accusa Morris di aver offerto una vetrina a un personaggio che della manipolazione dei media ha fatto un sistema. Il film è arrivato alla mostra sull’onda delle polemiche sugli inviti ricevuti da Bannon negli Usa, al festival del New Yorker (invito poi ritirato) mentre l’incontro organizzato all’open future festival dall’economist il 15 settembre è stato confermato dal direttore Zanny Minton Beddoes. C’è chi assicura di averlo visto ieri entrare e uscire di soppiatto dalla proiezione in Sala Grande.
Alla mostra, comunque, assicura Morris nessuno l’ha invitato. «Il mio compito, da regista e giornalista — continua — non è attaccarlo o renderlo accettabile. Ma investigare e capire chi è. Anche se mi spaventa. A un comizio di Marine Le Pen ha invitato i militanti del Front Nationale a lasciarsi chiamare razzisti e xenofobi. Invoca un populismo che per rispondere alla crisi del ceto medio favorisce i ricchi danneggiando i poveri. E l’idea che la soluzione di un problema possa essere l’azione violenta contro una parte della popolazione mi disgusta».
Nel film Morris ricostruisce la biografia del suo ex collega di università, gli anni in Marina, il master a Harvard, la passione per il cinema. Da Cielo di fuoco a Orizzonti di gloria di Kubrick. Fino, ironia della sorte, al documentario con cui Morris ha vinto l’oscar, Fog of war su Robert Mcnamara («Tutta colpa tua», ridacchia Bannon).