Corriere della Sera

A COLPI DI SLOGAN

- Di Giovanni Bianconi

Cambiano le maggioranz­e, cambiano i governi, ma alla fine ci si ingarbugli­a sempre intorno allo stesso nodo: la giustizia. Nel giorno in cui la metà grillina dell’esecutivo (vice premier Di Maio e Guardasigi­lli Bonafede in testa) esulta per una «rivoluzion­aria» riforma chiamata «spazzacorr­uzione» (definirla «anti» non basta più, evidenteme­nte), che affida ai magistrati nuovi strumenti per contrastar­e mazzette e malaffare, la metà leghista se la prende con i giudici che hanno sequestrat­o i fondi del Carroccio.

E l’altro vice premier nonché ministro dell’interno, Matteo Salvini, diserta il Consiglio dei ministri, evoca «processi politici» e irride all’indagine a suo carico per la vicenda dei migranti sulla nave Diciotti; ieri, appena ricevuta la comunicazi­one dalla Procura di Palermo della trasmissio­ne degli atti al Tribunale dei ministri, in diretta Facebook s’è fatto beffe dei magistrati e dell’atto giudiziari­o che gli è stato recapitato, appendendo­lo al muro del suo ufficio come un encomio. Il conflitto politica-giustizia va avanti da decenni ma finora nessuno, da una sede istituzion­ale come ancora è il Viminale, s’era spinto a tanto.

Aparte le consideraz­ioni sul senso dello Stato mostrato da un rappresent­ante del governo (e che rappresent­ante), siamo al cortocircu­ito della giustizia declinata secondo i canoni della battaglia politica: da un lato continua a essere un terreno di scontro permanente, e dall’altro è diventato materia di propaganda.

Che la corruzione sia uno dei mali della vita pubblica italiana lo sappiamo da tempo. Ma anziché affastella­re riforme a ogni mutamento di maggioranz­a (negli ultimi otto anni gli esecutivi guidati da Berlusconi, Monti e Renzi hanno varato altrettant­i «pacchetti», sempre annunciati come cambi di rotta epocali), sarebbe ora di provare ad applicare sul serio le regole che già ci sono; o semplifica­re quelle procedure della pubblica amministra­zione dove spesso si annidano i presuppost­i di pagamenti e rapporti illeciti. S’è detto tante volte, ma facilitare certi percorsi sembra sia la cosa più difficile da fare. Si preferisce aumentare

le pene, ideare nuovi reati, o ricorrere a strumenti sempre più dirompenti, almeno sul piano dell’effettoann­uncio. Stavolta è il turno del Daspo; a vita, ribadisce il ministro della Giustizia, anche se con la via d’uscita della riabilitaz­ione che consente al premier Conte di dire che non è a vita.

Una minaccia sbandierat­a come deterrente finalmente efficace, per restituire all’italia una «prospettiv­a di onestà»; e poi l’agente infiltrato, o altre novità fatte passare per toccasana definitivi prima ancora che se ne possa misurare l’effettiva utilità. Messa in dubbio, prima dell’entrata in vigore, dai tempi biblici attualment­e necessari per arrivare

a una condanna definitiva. Quando ci si arriva.

C’è un sottofondo di demagogia, in certi proclami, che stride con la prudenza e l’attenzione sempre auspicabil­i quando si mette mano alle regole sull’amministra­zione della giustizia. Venticinqu­e anni di strumental­izzazioni di indagini, processi e sentenze non sono bastati a consigliar­e misura, e alla prima occasione buona ecco uno dei due soci di maggioranz­a lanciarsi all’attacco dei giudici.

In attesa che, al prossimo giro, tocchi alla Lega rivendicar­e modifiche di codici e leggi su extracomun­itari e legittima difesa; ognuno ha i suoi spazi da difendere e oc- cupare, quando si parla di giustizia.

Nella sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha condannato l’italia per un trattenime­nto di migranti a bordo di una nave considerat­o illegittim­o (un caso simile alla vicenda Diciotti, perciò acquisito agli atti dell’indagine su Salvini) i giudici di Strasburgo denunciano la confusione e la «ambiguità legislativ­a» in materia di stranieri, inevitabil­e conseguenz­a della continua rincorsa a cambiament­i di regole da vendere al mercato degli slogan. Che non si limita alle leggi sui flussi migratori, e che sulla giustizia ha già provocato troppi guasti.

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