L’iran senza velo di Farhad Meysami
Itanti studenti iraniani che si sono preparati per l’università leggendo i suoi manuali conoscono Farhad Meysami. È anche per questa ragione che il suo arresto ha ferito profondamente quel mondo normale che vive una silenziosa resistenza al regime: le donne e gli uomini, per intenderci, che vediamo nei film di Ashgar Fahradi, da About Elly fino a Il cliente. È chiaro che l’impegno per i diritti umani di questo professore di medicina quarantottenne non poteva sfuggire alla repressione degli ayatollah. Gli hanno trovato in casa distintivi con la scritta «sono contrario al velo obbligatorio» e lo hanno rinchiuso alla fine di luglio nel carcere di Evin, uno dei luoghi maledetti dell’universo. Le accuse: «cospirazione per minacciare la sicurezza nazionale» e «propaganda contro il sistema».
In quella prigione disumana, fatta costruire nel 1972 dallo Scià, Meysami è stato tenuto in isolamento per tre settimane. Solo il 19 agosto la madre è finalmente riuscita a parlargli al telefono e ha saputo dello sciopero della fame iniziato all’indomani della cattura . «Ho fatto questa scelta — sono state le sue parole — per difendere la mia dignità e quella di tutti coloro che vengono perseguitati». Secondo la giornalista Jila Baniyaghoob, la protesta è diventata ancora più dura domenica scorsa con il rifiuto dell’acqua, non solo del cibo. Questa decisione serve anche a richiamare l’attenzione sul destino di altri quattro oppositori, uno dei quali è Reza Khandan, arrestato durante la campagna per la liberazione della moglie, l’avvocatessa Nasrin Sotoudeh, premio Sakharov 2012.
È impossibile tacere di fronte a questo scenario intollerabile. Si tratta di capire, però, che le pressioni sono una cosa, le sanzioni un’altra. La politica di strangolare economicamente il Paese non è la strada giusta — come ha scritto il Guardian in un recente editoriale — per sostenere le legittime aspirazioni di una popolazione che «sta già lottando». Le mosse di Trump, aggiungiamo, incoraggiano l’aggressività iraniana nello scacchiere internazionale. In questo caso l’europa ha fatto una volta tanto la sua parte, cercando di costruire e non di distruggere. Ora, anche se i tempi sono difficili, non può distrarsi. Pensando anche a Farhad Meysami.
@Paolo_lepri