Lo scafo, gli interni, il dragone L’artigianato con il vento in poppa
A «Homo Faber» la rinascita di Eilean, il veliero restaurato dal cantiere Del Carlo
Le barche di legno non muoiono mai». Così, con semplicità, Guido Del Carlo, 63 anni, proprietario del cantiere Del Carlo Francesco, introduce il racconto di un restauro che rappresenta soprattutto un atto d’amore: per la propria professione di maestro d’ascia e per un’imbarcazione, Eilean, veliero del 1936, che oggi naviga e partecipa a regate di vele d’epoca, ma nel 2006, quando fu avvistato ad Antigua, sembrava un vero relitto galleggiante. Il risultato di un lavoro di raffinata manualità durato due anni, fortemente voluto dal marchio di alta orologeria Officine Panerai (e dall’allora Ad Angelo Bonati) che acquistò l’imbarcazione e ne promosse il restauro, è entrato a buon titolo nel percorso dell’evento veneziano sull’artigianato «Homo Faber», imminente a Venezia. Sì, perché si deve prima di tutto alla bravura delle mani se oggi Eilean è tornata al suo splendore. Ma poi c’è la passione, e si intuisce dal racconto che, se fosse mancata, il risultato finale non sarebbe stato identico.
«Quando vidi per la prima volta Eilean, mi sembrò una follia pensare di poterla salvare recuperando le parti originali: lo scafo aveva il fasciame in teak da restaurare, agganciato con delle viti alle ordinate — lo scheletro — che invece erano in ferro e appariva deteriorato. Noi siamo un cantiere bravo nel lavorare il legno, ma il metallo è un’altra cosa…», racconta Del Carlo. Un lavoro nuovo, impegnativo e pieno di incerti: «Di primo acchito mi sembrò una follia. Ma poi mi dissi: “Se l’hanno fatto nel passato, possiamo riuscirci anche noi”. E accettai la sfida».
Eilean fu trainata fino a St. Maarten, messa su un cargo per Genova, da qui rimorchiata a Viareggio al cantiere. «Quando però iniziammo l’opera, scoprimmo che sostituire le ordinate danneggiate significava smontare anche il fasciame a cui erano inchiodate. Con la certezza di non riuscire poi più a farli combaciare. Tentai di convincere la proprietà a rinunciare al fasciame originale, ma invano. Allora ebbi l’idea di provare a smontarlo per poi inchiodarlo pezzo a pezzo. Una scommessa. Ma alla fine riuscimmo, e fu una
soddisfazione immensa».
Una compagine familiare, da Del Carlo; e per Adriano, il figlio di Guido allora 16enne, Eilean rappresentò il primo lavoro: «Gli affidai il recupero del fregio, il dragone, emblema del costruttore di Eilean. Trovò il disegno e lo riprodusse a rilievo verniciandolo poi a pennello. Fu il suo battesimo da restauratore. Lo ricorda ancora oggi». A ciascuno la sua competenza, ma conta la squadra: «Io avvio il lavoro, ma poi c’è mio fratello Marco e, fino all’anno scorso, mio padre, che all’epoca di Eilean aveva 78 anni. E poi le maestranze, 13 persone dai 24 ai 50 anni, formate da noi».
Obiettivo, la ricerca dell’eccellenza. Come sottolinea Jean-marc Pontroué, ad di Officine Panerai: «Eilean è un meraviglioso esempio di eleganza e autenticità, ma anche l’espressione di una storia fatta di grande artigianato e di passione per il mare, da sempre parte della nostra identità. Mostrare Eilean a “Homo Faber” è il segno del nostro impegno nella promozione della cultura delle vele d’epoca ma, soprattutto, è il modo per rendere valore all’abilità dei maestri d’ascia italiani».
Alta manualità, sì, ma anche ingegno, se si guarda al restauro degli interni: «In mogano, rifatti secondo l’impianto originale ma rimodellati per migliorare gli spazi. Modificandoli “in opera”. Riusciamo a farlo sempre, anche per pochi centimetri», dice con orgoglio Guido Del Carlo. Certo, restaurare una barca d’epoca ha i suoi tempi («Per Eilean, oltre due anni») e un costo, ma il valore rimane: «Salvaguardare l’autenticità premia. E quando proprio non si riesce, le sostituzioni si fanno identiche. Senza “toppe”». Mettendo in gioco fino in fondo la maestria, inarrivabile, delle mani.
Sfida «impossibile» «Panerai ci convinse a smontare e rinchiodare pezzo per pezzo il fasciame originale»