Noi, dieci anni senza David
Ricordando Foster Wallace. Il vuoto mai colmato e l’omaggio di un giovane poeta
Il 12 settembre 2008 morì suicida a soli 46 anni nella sua casa di Claremont, in California, David Foster Wallace, per i fan DFW, tra i più importanti e amati esponenti del postmoderno letterario, sofferente fin da ragazzo di una grave forma di depressione. Dopo la morte gli sono stati dedicati saggi (come la biografia Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi di D. T. Max, Einaudi Stile libero, 2012), convegni, gruppi di lettura, romanzi e il film The End of the Tour – Un viaggio con David Foster Wallace (2015) di James Ponsoldt.
Nel decennale della morte, dedichiamo un omaggio a questo autore di romanzi, racconti e saggi tutti divenuti di culto (ancor più dopo la morte), come il monumentale e complesso Infinite Jest (1.281 pagine nell’edizione di Einaudi Stile libero, tradotta da Edoardo Nesi con Annalisa Villoresi e Grazia Giua). In questa pagina, lo scrittore Demetrio Paolin racconta il memoir scritto dalla moglie di Foster Wallace, Karen Green, Il ramo spezzato, uscito per Baldini+castoldi nella traduzione di Martina Testa, accorato ricordo dell’uomo e del compagno di vita.
Nella pagina, inoltre, il poeta Simone Savogin, più volte vincitore dei Campionati italiani di Poetry Slam, dedica a David Foster Wallace il suo inedito Al pallido re /che faceva cose divertenti. Un componimento il cui titolo cita due opere di Wallace (il postumo Il re pallido, Einaudi Stile libero, e il saggio Una cosa divertente che non farò mai più, minimum fax), poesia densa di suggestioni ed echi nascosti (i versi «in te eri infiniti / gesti» riecheggiano il titolo Infinite Jest, mentre cercare è anagramma di carcere) che incarnano il suo postmoderno «spezzato» e la sofferenza che l’ha accompagnato.