Ma possiamo scrivere la nostra vita in un libro
proprio un neurone, ma un gruppo di neuroni che, durante un esperimento si è scoperto che si attivavano davanti a qualsiasi foto dell’attrice americana e che erano capaci di reagire anche davanti a quelle di Lisa Kudrow, collega della Aniston nella fiction Friends, a dimostrare che la memoria funziona per associazioni.
Il neurone di Jennifer Aniston è solo un esempio. In realtà pare che abbiamo neuroni che possiamo associare a qualsiasi concetto abbiamo «scelto» di ricordare.
Il termine «scelto» però è forse azzardato, perché non decidiamo in modo totalmente conscio che cosa archiviare e che cosa no, anche se una selezione la operiamo. Il nostro cervello «sa» quel che gli serve, che non è il conservare tutte le informazioni acriticamente, bensì quelle utili a compiere astrazioni e collegamenti. In caso contrario si cadrebbe nelle condizioni di altri personaggi celebri nella storia degli studi sulla memoria, come Kim Peek, che ispirò il film Rain Man, oppure Barry Morrow, dotati di memoria prodigiosa ma incapaci di ragionamenti semplici o di cogliere un doppio senso.
Ricordare tutto, infatti, non si associa alla capacità di astrazione. «Se osserviamo uno stormo di uccelli, al contrario di Funes non sappiamo contarli e ricordarne il numero istantaneamente, perché, di norma, in realtà non è im-
Afronte di chi crede di ricordare ciò che non può ricordare, c’è chi vede davvero le sue memorie svanire nelle nebbie dell’involuzione cerebrale.
Interi pezzi di vita che vanno perduti, comprese quelle che erano state le gioie e i momenti più belli. Per porre rimedio, almeno parziale, a tale perdita, si può ricostruire la propria vita in un libro o un file multimediale, il cosiddetto Life story book, che una ricerca pubblicata sulla rivista International Psychogeriatrics ha dimostrato avere un effetto positivo nell’aiutare a riportare alla memoria episodi della vita vissuta e nel migliorare le relazioni tra chi è affetto da demenza e i suoi familiari.
La ricerca è stata realizzata da un gruppo di psicologi olandesi guidati da Teuntje Elfrink dell’università di Twente (Olanda), e ha preso in esame 14 studi precedentemente realizzati in vari paesi sull’utilizzo dei Life story book come strumento utile anche per generare maggiore attenzione verso i bisogni di chi soffre di demenza. Fino a contribuire a realizzare un contesto di cura personalizzata, rispettosa delle esperienze e dell’unicità di ogni singola persona.
«Il valore dei Life story book risiede nello stimolare il recupero di memorie ed emozioni positive e nel migliorare le relazioni con la persona affetta da demenza» spiegano gli autori della ricerca. «Valutazioni quantitative supportano questa ipotesi, dal momento che sono stati riscontrati miglioramenti nella memoria autobiografica, nel livello di depressione e nella qualità di vita delle persone con demenza, così come nelle relazioni e nella comunicazione tra chi soffre di demenza e chi ha il compito dell’accudimento».
I Life story book possono avere diverse forme e dimensioni. Alcuni sono basati sulla
portante saperlo. Quello che ci interessa capire è che siano uccelli e determinarne approssimativamente il numero (più o meno di 10 o di 100) e astrarre il concetto, tralasciando le informazioni non necessarie. Questa operazione comincia con la percezione e si trasferisce nella memoria» scrive Quiroga.
Funes, con la testa affollata, satura, di dettagli, non poteva compire questo procedimento per noi semplice, sottolinea Quiroga. Borges nel suo racconto su Funes ma non solo, ebbe la capacità di capire sia l’importanza dell’astrazione sia dell’oblio.
«Pensare significa dimenticare le differenze, significa generalizzare, astrarre — dice Borges —, e nel mondo stipato di Funes non c’erano che dettagli, quasi immediati». scrittura e hanno una lunghezza di poche pagine, altri sono di molte decine di pagine e corredati da immagini e fotografie o articoli di giornale; altri ancora sono multimediali e possono comprendere registrazioni e filmati.
La maggior parte dei book realizzati nel corso degli studi entrati in questa revisione sistematica avevano una struttura di tipo cronologico, che ricostruiva il normale andamento dell’esistenza. Nel corso di alcuni di questi studi sono state anche individuate raccomandazioni sulle modalità per trattare gli eventi negativi e spiacevoli, su come raccontare episodi che coinvolgono altre persone, su come dare una conclusione positiva alla storia personale.
Alla realizzazione dei book, oltre alla persona interessata, possono partecipare più familiari e i caregiver professionali, dal momento che una delle finalità è appunto stimolare coloro che stanno attorno a chi soffre di demenza a rispettare e riconoscere la L’efficacia
Il valore dei Life story book risiede nello stimolare il recupero di memorie ed emozioni positive e nel migliorare le relazioni con la persona affetta da demenza. Analisi quantitative hanno confermato miglioramenti nella memoria autobiografica, nel livello di depressione e nella qualità di vita dei malati, così come nelle relazioni e nella comunicazione tra questi e chi ha il compito di accudirli sua individualità. E quindi a superare l’approccio di tipo medico-routinario inevitabilmente prevalente soprattutto nelle strutture istituzionali.
I risultati positivi di questa revisione suggeriscono che la pratica del Life story book potrebbe diventare uno degli strumenti da mettere in atto per aiutare le persone con demenza a recuperare parti delle propria vita che rischiano di andare perdute per sempre, e i loro familiari a impegnarsi in un’attività che faciliti le relazioni. Tuttavia, secondo la professoressa Elfrink, tutti gli studi presi in esame erano stati realizzati su poche persone e quindi c’è bisogno di valutare più accuratamente l’efficacia di tali interventi.
«Ora bisognerà avviare la fase terza della sperimentazione» concludono gli autori della ricerca, «da realizzare attraverso studi randomizzati e controllati, al fine di stabilire con maggiore certezza gli effetti dei Life story book». https://www. corriere.it/ salute/ neuroscienze