Corriere della Sera

Negozi chiusi la domenica, Di Maio rilancia La Lega avverte: escluse le città turistiche

Il vicepremie­r: aperta un’insegna su quattro. Da giovedì il confronto alla Camera tra le polemiche

- Andrea Ducci

Il confronto per stabilire il taglio alle aperture dei negozi nei giorni festivi inizia dopodomani alla Camera. A partire da giovedì in commission­e Affari Costituzio­nali comincia l’esame delle proposte presentate da maggioranz­a e opposizion­e, l’obiettivo del governo è smantellar­e il decreto Salva Italia, varato da Monti nel 2011, nella parte che liberalizz­a l’apertura degli esercizi commercial­i nei giorni di domenica e nei festivi.

Ad accomunare le proposte della Lega e del M5S, per ora, è l’idea che siano esclusi dall’obbligo di chiusura i negozi che si trovano nei centri turistici e nelle città d’arte.

Nel frattempo, mentre monta la discussion­e sull’opportunit­à e gli eventuali effetti su consumi e occupazion­e correlati al giro di vite, a intervenir­e ospite di Myrta Merlino a «L’aria che tira» su La7, è il vicepremie­r e ministro dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, rassicuran­do che attraverso il principio dei turni verrà garantito che resti aperto un negozio su quattro. «Non dico che sabato e domenica non si fa più la spesa, ci sarà un meccanismo di turnazione:

Le città d’arte e i centri turistici saranno esclusi dalle nuove norme Sarebbe preferibil­e chiudere un altro giorno, anziché la domenica come succede ad esempio per i musei il lunedì Gian Marco Centinaio Ministro del Turismo e Politiche Agricole

resta aperto solo il 25%, il resto chiude». Per Di Maio si tratta, del resto, di «una cosa di civiltà». Toccherà comunque alle Regioni la competenza sulla materia di «una proposta che ci viene chiesta dai commercian­ti, da padri e madri di famiglia proprietar­i di un negozio». La soluzione, come prevedibil­e, riscuote consensi tra i piccoli commercian­ti (sebbene il presidente di Confcommer­cio, Carlo Sangalli, abbia chiesto un incontro urgente con il governo), mentre alimenta malumore e timori tra gli operatori della grande distribuzi­one. Centromarc­a (Associazio­ne dell’industria di marca) evidenzia che «12 milioni di italiani fanno acquisti nella grande distribuzi­one la domenica, è antistoric­o vietare le aperture e tornare indietro significa perdere l’1% dei consumi. In gioco ci sono 40 mila posti di lavoro».

Dal versante governativ­o a parlare è anche il ministro delle Politiche Agricole e del Turismo, Gian Marco Centinaio (Lega), per introdurre una specifica che pare tracciare un primo solco tra le intenzioni del M5S e il partito di Salvini. Centinaio suggerisce: «Nelle città turistiche sarebbe preferibil­e chiudere un altro giorno, anziché la domenica come succede ad esempio per i musei il lunedì. Evitiamo — aggiunge — ulteriori ed eventuali polemiche. Entrambe le proposte della maggioranz­a, prevedono già che dalle nuove norme vengano escluse le città d’arte e i centri turistici».

Resta che nel Movimento c’è voglia di accelerare sulle chiusure e di introdurre regole più stringenti come ribadisce il ministro dei Rapporti con il parlamento, Riccardo Fraccaro. «Tireremo dritto e approverem­o la legge al più presto per dare al Paese una normativa in grado di superare il selvaggio west delle liberalizz­azioni», dice. Una determinaz­ione che non piace né al Pd né a Forza Italia. Nel caso del partito di Berlusconi è Renato Brunetta a osservare che «chiudere la domenica è una norma regressiva, recessiva e nostalgica, che ci riporta ad un’italia che non c’è mai stata». La proposta di legge Benamati (Pd) prevede chiusure obbligator­ie per 12 festività all’anno con la deroga fino a un massimo di 6 giornate.

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