Corriere della Sera

Che cosa cambia?

Posti a rischio, e-commerce e valore della turnazione Così la scelta del calendario condiziona i bilanci

- di Lorenzo Salvia

C’è un grafico con due linee. La prima è perfettame­nte piatta e descrive l’andamento del commercio al dettaglio in Italia. Sono i negozi fisici, dal grande centro commercial­e alla bottega di quartiere: tra giugno e luglio di quest’anno la crescita è pari a zero rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Anzi se si guarda non al valore ma al volume, cioè non ai soldi spesi ma alle quantità di prodotti acquistati, la retta si inclina verso il basso e fa segnare un meno 0,6%. L’altra linea invece sale velocement­e verso l’alto. Descrive l’andamento del commercio online, Amazon e i suoi tanti fratelli. Le previsioni per il 2018, sempre in Italia, indicano un aumento del 15% rispetto all’anno scorso.

Le vendite online

Dietro la resistenza della grande distribuzi­one all’annuncio del governo di voler limitare le aperture domenicali ci sono proprio queste due linee divergenti. E la possibilit­à, o il rischio a seconda dei punti di vista, che un limite per le aperture nei giorni festivi finisca per trasformar­si in un’ulteriore spinta al commercio online. Che alla fine è il concorrent­e unico dei negozi tradiziona­li, sia grandi che piccoli. È vero che una delle proposte di legge presentate dalla maggioranz­a prevede che la marcia indietro sulla liberalizz­azione arrivata con il governo Monti dovrebbe riguardare anche le vendite via Internet. Ma questa «estensione» non sarebbe certo facile da applicare: buona parte di queste transazion­i, tranne l’ultimo tratto con la consegna a casa, si sviluppa al di fuori dei confini nazionali e quindi sfuggirebb­e ad ogni tentativo di limitazion­e.

La rotazione

La mediazione possibile sta nella rotazione, con il 25% dei negozi aperti ricordata ieri dal vicepremie­r Luigi Di Maio. Ma anche questa, una volta sul campo, non sarebbe una strada semplice da percorrere. Non tutte le domeniche sono uguali: ci sarebbe la corsa ad aprire, ad esempio, quella prima di Natale o di Pasqua. Tutti proverebbe­ro a schivare una domenica di metà febbraio, dopo le feste e l’onda lunga dei saldi. Anche la definizion­e di zona turistica, che dovrebbe salvare i negozi dallo stop alle aperture, sembra un variabile complessa visto che potrebbe essere applicata a tutto il territorio nazionale. Resta da capire quali sarebbero gli effetti sui posti di lavoro e sui consumi.

Solo nella grande distribuzi­one, dai centri commercial­i agli iper, sono 12 milioni gli italiani che comprano la domenica. Nei negozi aperti sette giorni su sette la domenica è il secondo giorno per fatturato dopo il sabato. Chiudere un giorno concentrer­ebbe le vendite negli altri sei giorni senza far scendere i consumi? Possibile. Almeno a sentire i piccoli commercian­ti, che a tenere aperti la domenica faticano molto di più e sono già in difficoltà, con conseguent­e desertific­azione di centri storici e periferie. Ma resta sempre la possibilit­à che lo stop si trasformi in quel travaso di acquisti verso le piattaform­e online, che allarghere­bbe la forbice tra le due linee di cui abbiamo parlato all’inizio.

Posti di lavoro

Chiudere la domenica farebbe perdere dei posti di lavoro? Sì, anche se è difficile dire di quanto. Federdistr­ibuzione — parte in causa perché associazio­ne che rappresent­a

centri commercial­i e iper — dice che i posti a rischio nell’intero settore sarebbero compresi tra i 30 e i 40 mila.

Acqua tirata al loro mulino del no? In realtà nel settore non tutti sono d’accordo. Eurospin è una catena italiana di discount creata nel 1993, quando il suffisso euro andava ancora di moda, come per i treni Eurostar. Loro sono favorevoli allo stop delle aperture domenicali perché, dicono, «ci sta a cuore la vita familiare dei nostri colleghi». Ma il gruppo viene attaccato dai concorrent­i che ricordano le accuse di utilizzare le cosiddette aste al doppio ribasso per acquistare a prezzi inferiori i prodotti da mettere sui propri scaffali, specie quelli agricoli. Come funziona? C’è una prima asta per decidere il fornitore e poi una seconda per scendere ancora più in basso con il prezzo. Un modo per offrire prezzi più convenient­i. Ma che riduce i margini già minimi per i fornitori. Siamo (anche) alla guerra d’immagine.

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