Corriere della Sera

«Tutelare le famiglie? I festivi sono più pagati per lavorare c’è la fila»

- di Claudia Voltattorn­i

«Io mi chiedo: perché?». ROMA Perché cosa presidente?

«Perché riportare indietro le lancette della storia? Perché mettere a rischio 40mila posti di lavoro? Perché mettere in difficoltà i clienti? Perché dare un ulteriore vantaggio all’online? Perché danneggiar­e chi ha investito (e spaventare chi vorrebbe farlo anche dall’estero)?».

Mario Gasbarrino è presidente e amministra­tore delegato di Unes Supermerca­ti (gruppo Finiper): 2.900 dipendenti in 120 punti vendita tra Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna di cui il 60% sempre aperto, festivi inclusi.

Perché è così contrario alle chiusure domenicali previste dai disegni di legge di Cinque Stelle e Lega?

«Perché non è una priorità per l’italia; perché 16 Stati d’europa su 28 hanno adottato la liberalizz­azione e noi torneremmo indietro; perché ormai fare la spesa la domenica è un’abitudine consolidat­a per 12 milioni di italiani; perché è un errore far tornare la gestione alle amministra­zioni locali, dopo essere usciti dal Medioevo grazie alla legge Monti del 2011».

Ma i suoi supermerca­ti non restano chiusi a Natale, a Pasqua, a Capodanno e nel giorno del Primo Maggio?

«Nel 2011, quando entrò in vigore la liberalizz­azione, non aprivamo solo due festivi all’anno. Ora siamo passati a 5 che nel 2019 diventeran­no 6: ma è una scelta aziendale che facciamo di anno in anno, non imposta dall’alto. Noi abbiamo un buon rapporto con i nostri lavoratori e cerchiamo di andar loro incontro». Allora, ha ragione il ministro

Luigi Di Maio: meglio chiudere nei giorni di festa e riunire le famiglie?

«Mi chiedo: la rovina delle famiglie sono i supermerca­ti aperti nei festivi o la mancanza di lavoro? C’è gente che fa la fila per lavorare la domenica, perché quei 200 euro in più a fine mese su uno stipendio da 1.100, 1.200 euro non sono pochi. Non c’è un’imposizion­e, c’è la rotazione. E nei nuovi contratti la domenica è un giorno lavorativo come un altro, anche se retribuito con una maggiorazi­one del 30%».

Perché in caso di limite alle aperture domenicali, i lavoratori rischiereb­bero il posto, non possono lavorare anche

negli altri giorni?

«Tenere aperto la domenica significa il 14% in più di ore lavorative, cioè circa il 10% di forza lavoro in più, inclusi interinali e lavoratori a tempo determinat­o: se devo chiudere non posso tagliare un braccio al macellaio del banco macelleria, sono costretto a licenziarl­o. Le persone non sono noccioline: qui rischiamo fino a 40 mila licenziame­nti, sono 4 Ilva. È vantaggios­o restare aperto la domenica?

«È il secondo incasso della settimana, dopo il sabato: se ci fanno chiudere facciamo un favore all’online, ci hanno pensato?».

La riforma prevedereb­be che la gestione delle aperture torni agli Enti locali.

«È la cosa più grave: una materia come questa deve essere uguale per tutti, invece troppa discrezion­alità favorisce clientelis­mi e burocrazia. Diventereb­be una giungla».

Il paradosso

«Mi chiedo se la rovina delle famiglie siano i supermerca­ti aperti o la disoccupaz­ione»

d Non è una priorità ed è un passo indietro: 16 Stati europei hanno liberalizz­ato e per la gente è una abitudine

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