L’obiettivo: far pagare i contenuti a Google e Fb
Le nuove norme prevedono anche per i big del web l’obbligo di introdurre un sistema di filtri
C’è una domanda che viene naturale porsi guardando alla grande agitazione che la discussione europea in difesa del copyright online ha portato in casa dei nuovi monopolisti del tech: di cosa hanno paura? Sul serio il loro business miliardario potrebbe essere messo solo vagamente in difficoltà dagli Articoli 11 e 13 della legge che verrà votata domani?
Prima di dare un giudizio vediamo cosa contengono gli articoli con i 200 emendamenti presentati (alcuni dello stesso relatore, un chiaro segnale di una volontà negoziale): l’articolo 11 è quello che coinvolge anche la stampa — compresi i quotidiani come il Corriere della Sera — ma più in generale l’informazione e, dunque, anche i lettori. Dimenticate fantasiose definizioni come quella frutto di un sapiente lobbismo come la link tax, la tassa sui link, che avrebbe, se fosse vera, del ridicolo. L’articolo 11 la cui genesi va fatta risalire al lavoro della Commissione Ue nel 2015 introduce l’obbligo del pagamento da parte delle piattaforme come Google, Facebook, Microsoft ed Apple (sono già escluse enciclopedie online et similia come Wikipedia) per l’utilizzo delle notizie, anche sotto forma di snippet, l’anteprima formata da titolo, sommario e immagini che i motori di ricerca catturano automaticamente grazie ai propri software-ragno. Le società si pubblicano così dei «propri» giornali.
Vista l’audience che hanno si potrebbe parlare del Facebook Times e del Google Post, se non fosse che, appunto, i contenuti non sono loro e produrli costa (al contrario di quanto la disinformazione spesso diffonde in Rete i principali quotidiani non ricevono fondi pubblici come le testate “politiche”). Qui si potrebbe pensare: alla fine quella che l’articolo 11 vuole regolamentare è una forma di pubblicità e chi è interessato può andare ad approfondire. Purtroppo la disabitudine alla lettura degli articoli e la velocità della circolazione online delle informazioni tendono a soddisfare con questi pochi elementi molti lettori. Voi entrereste in un ottimo ristorante se qualcuno all’ingresso vi regalasse in continuazione dei piattini di assaggi presi dallo stesso posto?
Il tema dell’articolo 11 è il futuro dell’informazione che sta cambiando, complici tutti noi. Provate a pensare a qualcuno che invece di due pasti al giorno, con relativa digestione lenta, mangiasse in continuazione piccoli bocconi, ogni cinque minuti. Le microinformazioni rischiano di essere come degli snack continui: danno la sensazione di essere soddisfatti ma non fanno bene se si salta il pasto. Lo sanno bene le piattaforme online. Senza il rispetto del diritto d’autore il rischio è che la percentuale di «fake news», già diffuse, aumenti, perché si mina il modello di business dei giornali. E le «fake news» sono gli zuccheri lavorati e i grassi saturi nella digestione dell’informazione.
L’articolo 13 introduce invece l’obbligo per le piattaforme di mettere dei filtri per bloccare il caricamento dei contenuti protetti. Il pensiero va facilmente a Youtube: in sostanza se qualcuno prova a mettere online per esempio un film di Fellini come Amarcord l’articolo 13 permetterà di andare a chiedere come mai è accaduto non all’utente singolo ma a Youtube. La faccenda è tecnicamente possibile, ma molto costosa. Motivo per cui sono esonerate start up e piccole realtà. In definitiva le aziende tech hanno paura perché gli Articoli 11 e 13 introdurrebbero il concetto di «responsabilità» più che un costo. Il mito della neutralità della tecnologia è finito.