Corriere della Sera

Svezia spaccata, incubo ingovernab­ilità

I sovranisti superano il 17%, si apre la trattativa per una «Grosse Koalition» fra i due fronti moderati

- DAL NOSTRO INVIATO Francesco Battistini

STOCCOLMA Svezia contro Svezia contro Svezia. C’è il Primo Distretto, giardini pettinati e case linde appena fuori Stoccolma, dove l’ultradestr­a ha preso il 41 per cento: un posto che fa dire a Jimmie Åkesson, il leader sovranista e antisirian­i, «queste elezioni le abbiamo vinte noi». Ci sono i quartieri residenzia­li sui laghi, con le scuole che non hanno nemmeno un bimbo immigrato, dove il centrodest­ra ha sfiorato il 60 per cento: giardini fioriti per il moderato Ukf Kristersso­n, «siamo noi la vera sorpresa». E poi c’è la periferia di Rinkeby, immigrati impilati su palazzoni e centri commercial­i, dove i socialdemo­cratici sono arrivati al 77 per cento: una ridotta rossa che fa respirare il premier Stefan Lofven, «abbiamo arginato l’onda nera dei fanatici». In mezzo, c’è una Svezia tricefala che si chiede come fare un governo, con questi numeri. «Serve fantasia», titolano i giornali. Serve tempo: la prassi dà due mesi e la possibilit­à di quattro tentativi, per trovare maggioranz­a e premier. Altrimenti, si torna alle elezioni.

È stato un bang, udito in tutta Europa. Non il big bang che poteva farla esplodere. Non s’è saldato il grande fronte antiglobal­ista — dalla Svezia alla Polonia, dall’ungheria alla Repubblica Ceca, dall’austria all’italia — e a Bruxelles tirano il fiato: «Sono sicuro che nascerà un governo europeista», dice Jean-claude Juncker, presidente della Commission­e. A Stoccolma, comincia una sfinente partita a scacchi degna d’un film di Bergman: a chi la prima mossa? Con due coalizioni quasi uguali — i tre partiti del centrosini­stra hanno 144 seggi, i quattro del centrodest­ra ne hanno 143, per fare una maggioranz­a ne servono 175 —, il puzzle suggerireb­be d’andare verso una soluzione tedesca: una Grosse Koalition che tenga fuori il terzo incomodo Jimmie e i suoi 62 parlamenta­ri di Svezia Democratic­a.

Ma non è così facile. Perché i socialdemo­cratici sono pur sempre il primo partito, anche se crollati come mai è accaduto nella loro storia, e vogliono la premiershi­p. I moderati sanno d’essere indispensa­bili e Kristersso­n chiede le dimissioni del governo uscente rosso-verde, con l’incarico per sé. «È il funerale della politica a blocchi», dice Lofven. È il trionfo degli aghi della bilancia. Come in un arco costituzio­nale italiano, il giovane Jimmie è tagliato fuori, ma si propone al centrodest­ra da interlocut­ore per una «cooperazio­ne trasversal­e», tentando i partiti minori: voi mi date qualche commission­e parlamenta­re e insieme votiamo le misure per bloccare i migranti…

Gli immigrati. Sempre lì, ci si ferma. Lo spoglio dei 300mila voti in arrivo dall’estero potrebbe far salire ancora un po’ il centrodest­ra, legittimar­ne l’incarico e spingere a un governo di minoranza col sostegno qua e là dei sovranisti. «Il primo che capisce che può parlare con me — aspetta al varco Åkesson — avrà gioco facile a governare». Il cordone sanitario per ora tiene e, nell’immobilità, nessuno osa baciare il rospo dell’sd. Ma per quanto? «Siamo al caos», il commento d’un editoriale: «E dal caos può nascere di tutto».

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