Epidemia nel Bresciano La pista della legionella sviluppata in un fiume
Superati i 200 contagi. Un fascicolo in Procura
BRESCIA Epidemia nel Bresciano, dai laboratori di analisi è arrivata una certezza: il picco anomalo di polmonite registrato negli ultimi giorni tra la Bassa Bresciana e l’alto Mantovano — che ha contagiato ormai oltre 200 persone — è di origine batterica. E potrebbe essere causata dalla legionella. La conferma arriva dall’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera: «Abbiamo la certezza che si tratta di polmonite batterica, pensiamo si tratti di legionella».
Sempre più probabile l’ipotesi cardine seguita dalle autorità sanitarie bresciane: la legionella si sarebbe sviluppata in modo massiccio nelle acque stagnanti e riscaldate del fiume Chiese. L’emissario del lago d’idro con la sua rete di canali bagna infatti tutti i paesi più colpiti dal contagio: Montichiari, Carpenedolo, Visano, Asola. In estate la portata d’acqua del fiume — sfruttato a fini irrigui e idroelettrici e spesso oggetto di scarichi non autorizzati — cala drasticamente. E le pozzanghere createsi lungo il suo greto sarebbero state ambiente ideale al proliferare di alghe e amebe, in grado di inglobare e proteggere a lungo il batterio della legionella. Le abbondanti precipitazioni dei giorni scorsi avrebbero poi gonfiato il fiume, trascinando i batteri sui campi, andando a contaminare pozzi e falde.
Questo lo scenario tracciato dalle autorità sanitarie locali e dagli infettivologi degli Spedali Civili di Brescia. Ora si attende solo il risultato dei prelievi già effettuati sul fiume. E potrà essere d’aiuto anche la task force messa a disposizione dall’ordine nazionale dei Biologi. Resta infatti da capire come l’agente patogeno possa essere arrivato fino ai rubinetti di centinaia di abitazioni. Possibile che sia stata contaminata la prima falda, dalla quale si approvvigiona ad esempio un Comune come Calvisano (non ha né acquedotto né depuratore). Ma anche in altri Comuni, nonostante la presenza dell’acquedotto, diverse abitazioni hanno pozzi privati, utilizzati per innaffiare orti e giardini. Non è da scartare nemmeno l’ipotesi che l’irrigazione a pioggia, molto utilizzata in queste zone agricole, possa aver contribuito alla diffusione dell’agente patogeno.
Di certo l’origine del batterio (che non è trasmissibile da persona a persona) non è da rintracciare nella massiccia presenza di allevamenti intensivi (quasi 600mila suini e circa 8 milioni di polli e tacchini). Ha destato preoccupazione il ritrovamento, a Carpenedolo, di una ventina di anatre morte. Qualcuno temeva il ritorno dell’influenza aviaria. Invece no. «Non abbiamo segnalazioni di infezioni batteriche o virali negli allevamenti suini, bovini e avicoli della zona», chiarisce Stefano Cinotti, direttore dell’istituto Zooprofilattico di Lombardia ed Emilia Romagna. Anche il ministro della Salute Giulia Grillo sta monitorando la situazione, l’istituto superiore di Sanità ha ricevuto il materiale organico relativo ai pazienti ricoverati.
Al lavoro anche la procura. Il sostituto procuratore Maria Cristina Bonomo ha aperto un fascicolo e delegato gli accertamenti e le indagini ai carabinieri del Nas: attendono i risultati delle campionature sull’acqua, predisponendo la mappa dei contagi e i collegamenti tra le diverse reti idriche. Epidemia colposa è l’ipotesi di reato. Per ora a carico di ignoti.