Corriere della Sera

IL CASO CALENDA E I MARITI IN FUGA

- Caro Giorgio.

Caro Aldo, il messaggio di valori e umanità lanciato da Carlo Calenda ex ministro dello Sviluppo economico, mi è piaciuto tantissimo. Ho appreso dal post su Twitter delle condizioni di salute della moglie Viola, colpita da un recidiva di leucemia. Al termine dell’esperienza del governo Gentiloni, Calenda si era fatto leggere sui social e sulla stampa. Nell’ultimo periodo si era perso un po’ di vista. Il loro è stato un gesto coraggioso che fa comprender­e che forse qualche volta bisogna pure fermarsi per capire in quale direzione si sta andando. «Viola è una leonessa» ha scritto Calenda, e quindi non posso che inviargli affettuosa­mente il mio in bocca al lupo più sincero! Giorgio Parmegiani Benevento

La storia di Carlo Calenda e della moglie si presta a due riflession­i. La prima riguarda l’uso dei social, sulla quale mi dichiaro incompeten­te: non li uso, non sono su Twitter né su Instagram, e l’unica pagina Facebook a mio nome è quella cui inviare le lettere e i messaggi al Corriere. Posso dire solo che la foto del profilo di Calenda, che lo raffigura con la moglie e la mascherina della terapia intensiva, è molto bella. Ho trovato più interessan­te però il colloquio dell’ex ministro con Maria Latella del Messaggero, là dove Calenda racconta di aver scoperto che molti mariti non reggono alla malattia della moglie, e scompaiono. Mi è tornata in mente una cosa che mi raccontò Bebe Vio. La campioness­a paralimpic­a ha fondato con i suoi genitori un’associazio­ne per aiutare i giovani amputati come lei a fare sport; cosa non facile, perché la carrozzina che serve per tirare di scherma è diversa da quella per il basket, mentre per il calcio servono stampelle speciali. Molti di loro sono figli di genitori separati: uno dei due non regge al trauma, e scappa. E a scappare è quasi sempre lui, il padre, il marito.

È difficile giudicare persone che non si conoscono, di cui non si sono provate le sofferenze. Però mi chiedo che cosa siano diventati gli uomini. Prendersi cura dei malati non può essere una caratteris­tica soltanto femminile. Anche noi siamo chiamati a fare la nostra parte; non solo in famiglia, ma nella vita pubblica, ora che finalmente abbiamo capito che la Terra e l’uomo non sono immortali, e quindi tocca a noi prendercen­e cura.

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