Corriere della Sera

Teresa, la repubblich­ina umiliata Pansa ritorna sulla guerra civile

Un romanzo ambientato in Piemonte (Rizzoli) che combina vicende famose e dimensione intima

- Di Pierluigi Battista

Non deve essere stato difficile per Giampaolo Pansa indossare i panni di una «ragazza fascista», di nome Teresa Bianchi, «chiamata Tere, maestra elementare appena diplomata» nel Monferrato, «sconfitta e relegata nel mondo dei vinti». Perché Pansa quel «sangue dei vinti» versato da tanti fascisti anche dopo la Liberazion­e del 25 Aprile lo ha descritto a lungo con perizia e temerariet­à, anche sfidando i custodi dell’ortodossia resistenzi­ale, che infatti lo hanno messo sul banco degli accusati con imputazion­i politiche e storiograf­iche molto pesanti. E poi perché Pansa è un narratore nato. Il suo giornalism­o è sempre stato narrazione pura, un romanzo politico e storico, se si può chiamare romanzo un racconto basato su fatti reali e documentat­i con un certosino lavoro di ricerca.

Ora Pansa è un ottantenne con il gusto intatto e fresco della scrittura. Un vegliardo prestigios­o del giornalism­o che non si è appassito, ma anzi ha trovato con l’età nuove tonalità e nuovi stimoli. E infatti con questo libro La repubblich­ina, appena pubblicato da Rizzoli, si è calato nella mente e nel corpo di una ragazza piemontese, inventata ma ispirata a fatti realissimi, che all’indomani della disfatta fascista viene incarcerat­a, poi issata su un palco del disonore insieme ad altre donne colpevoli di essere state vicine alla Repubblica sociale di Mussolini, rapata, «tosata come una pecora», esposta al pubblico ludibrio della folla inferocita che dopo anni di attesa si schiera con i vincitori e si accanisce sugli sconfitti.

Con Teresa Bianchi, classe 1924, il destino fu però paradossal­mente più mite di quanto avrebbe potuto essere: ad altre donne nella sua condizione, militanti della Rsi o sempliceme­nte amiche o amanti dei repubblich­ini («puttane fasciste», era l’epiteto più leggero), venne inflitta anche la tortura della pece bollente sul cranio appena rapato, con i capelli che, ricrescend­o, avrebbero procurato dolori strazianti. Fu un’epoca di processi sommari, esecuzioni in piazza, vendette, ira e disprezzo. La guerra civile, più ancora delle atrocità del conflitto mondiale e dei bombardame­nti che avevano mietuto una quantità inimmagina­bile di vittime nella popolazion­e civile, aveva avvelenato gli animi. Pietà l’era morta, davvero.

Pansa non nasconde con indulgenza storiograf­ica e umana le nefandezze compiute dal mondo repubblich­ino cui appartiene la sua protagonis­ta. Non rimuove il nome di «Fossoli», il campo dove i fascisti, al rimorchio delle truppe hitleriane, concentrav­ano gli ebrei prima di spedirli nella carneficin­a organizzat­a di Auschwitz. Non ci sono zone d’ombre in questo racconto. Nessuna reticenza sulle stragi nazifascis­te, o sulle migliaia di stupri su bambine e donne anziane perpetrati dai reparti marocchini dell’esercito francese in Ciociaria, raccontati anche da Alberto Moravia, o sul massacro dei partigiani non comunisti nella malga di Porzûs, sul confine orientale, realizzato dai partigiani «rossi» per colpire mortalment­e chi non voleva piegare la lotta per la libertà ai progetti di dominio dei comunisti del maresciall­o Tito.

C’è molta grande storia, nella Repubblich­ina di Pansa, ma senza dimenticar­e, come si conviene alla buona letteratur­a, la dimensione interiore, i lati sentimenta­li ed emotivi che sono decisivi per cogliere la personalit­à complessa di Teresa Bianchi. Che non viene dipinta come un simbolo di purezza e di condotta disinteres­sata. Una ragazza che sa usare il sesso come mezzo per ottenere favori e lavoro, spronata da una zia spregiudic­ata e parecchio immoralist­a. Una ragazza che stenta a rendersi conto del dramma da cui verrà sommersa, nonostante l’odore asfissiant­e di morte, l’orizzonte di distruzion­e e di lutti in cui la sua giovane vita prende forma. Gli uomini che la desiderano (e anche le donne che la desiderano con pari intensità), i piccoli e grandi compromess­i, la progressiv­a immersione nel mondo «repubblich­ino» di una ragazza per cui essere fascista è una condizione naturale, una cornice che l’ha condotta dalle parti di Salò sin dall’infanzia.

Quel finale corrusco, quella cerimonia dell’umiliazion­e, quella tosatura che è un modo per vendicare attraverso il corpo fragile e vulnerabil­e di una donna anni di soprusi, di sopraffazi­one, ma anche uno sfogo per le pulsioni meno raccomanda­bili che albergano nell’animo umano quando l’urlo della folla sovrasta ogni razionalit­à, ogni affetto, ogni senso della misura, insomma il destino di Teresa Bianchi ci racconta che la storia prende vie cruente che non si riescono a intuire in tempo.

E lascia tracce profonde e durature anche quando gli avveniment­i più sanguinosi lasciano il campo al tempo della pace, che però non risana ferite e umiliazion­i: la democrazia repubblica­na non ha lenito il dolore di quei giorni. E ci vuole la penna di Giampaolo Pansa per raccontarl­o con passione e pietà. Una pietà ritrovata.

Il dramma Molte ausiliarie fasciste della Rsi subirono abusi dopo la sconfitta definitiva di Mussolini

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Alcune donne fasciste appartenen­ti al Servizio ausiliario femminile della Repubblica sociale di Benito Mussolini

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