Corriere della Sera

LA VERITÀ E LE OMBRE

VIVIAMO SU UN DUPLICE PIANO TUTTO DEV’ESSERE TRASPARENT­E MA SOSPETTIAM­O DI OGNI COSA

- di Jean-luc Nancy

L’appuntamen­to Torna il Festival Filosofia e indaga sui volti dell’autenticit­à. Un grande filosofo teorizza la contraddiz­ione su cui poggia il nostro mondo: niente è immune da opacità e così l’ossessione per la veridicità non trova mai un approdo

L’uso della menzogna è antico quanto l’esercizio delle diverse forme di rivalità, concorrenz­a, competizio­ne per il potere, il dominio e l’appropriaz­ione di ogni tipo di beni materiali e simbolici — in breve, di ogni specie di strategia. Quando Bruto accanto a Crasso e Casca saluta Cesare al Senato, non sta forse nascondend­o il suo piano assieme al suo pugnale? Quando De Gaulle, il 4 giugno 1958, dichiara agli Algerini, «Io vi ho compreso», non sta forse giocando abilmente con le parole e con un pubblico che sta raggirando? Quando il governo americano annuncia nel 2003 che l’iraq detiene armi di distruzion­e di massa, come mai dieci anni dopo lo stesso Segretario di Stato (Colin Powell) smentirà questo annuncio?

Smentita è un termine usato molto spesso nel lessico diplomatic­o e dell’informazio­ne, in ambito politico, militare, economico, tecnico e ideologico: la sua frequenza attesta, se non la realtà, almeno la possibilit­à di sospettare sempre di ciò che si deve smentire, dunque di una menzogna. A Talleyrand, il famoso diplomatic­o e ministro francese di Napoleone e dei seguenti governi, viene attribuita questa massima: «Mentite, mentite, qualcosa resterà!» È inutile gridare al cinismo: cinica di per sé è la semplice realtà, è l’ordinaria credulità. Quando un’affermazio­ne lusinga in noi un’aspettativ­a più o meno oscura, una preferenza istintiva, siamo pronti a credervi. Nelle elezioni, ogni candidato va incontro alle speranze della sua clientela elettorale. Si tocca qui uno dei punti più delicati delle stesse possibilit­à della democrazia: il punto dell’informazio­ne, della riflession­e e del giudizio dei cittadini.

I segreti e le menzogne degli Stati, così come quelli di tutti i poteri (tecnici, economici, culturali) sono sempre stati noti. Questa evidenza appartenev­a alla tradizione e, di fatto, è stata accettata finché i poteri di ogni tipo hanno goduto di una certa reverenza o almeno sono stati ammessi come un ordine più o meno naturale. In che modo questo carattere naturale del potere sia stato sostituito da un sospetto generalizz­ato è quanto resta ora da esaminare.

Una parola offre un primo accesso a questo esame. È la parola russa glasnost usata dal 1986 e dopo l’incidente nucleare di Chernobyl da parte di Mikhail Gorbachev. Tradotta di solito con «trasparenz­a», questa parola (che in russo evoca la voce) intendeva significar­e la necessità di un’informazio­ne libera e accessibil­e a tutti — non solo sull’episodio di Chernobyl, ma sull’insieme dei dati e delle azioni dell’intero apparato di gestione di un grande Stato. A questa parola si può associare il titolo di un articolo, firmato Schikman, pubblicato a Mosca nel 1988: «Soveršenno nesekretno» (Nessunissi­mo segreto).

La scomparsa del segreto e la pratica della trasparenz­a divennero allora un’esigenza generale dello spirito democratic­o. Poiché gli Stati totalitari avevano circondato i loro atti e i loro calcoli con formidabil­i spessori di silenzio e di sorveglian­za, era l’idea stessa di segreto di Stato a essere respinta. Non è irrilevant­e che ciò sia avvenuto contempora­neamente a un grave incidente industrial­e: un certo grado di esposizion­e delle conseguenz­e tecniche equivale a un’esposizion­e pubblica. A questo proposito, dopo i campi di sterminio e la bomba atomica, passando per le manifestaz­ioni gravide di conseguenz­e di tante tecniche militari, industrial­i, agrarie, economiche, finanziari­e e persino ideologich­e (perché anch’esse sono tecniche) la storia non ha cessato da quasi un secolo di seguire un doppio movimento: tutto appare sempre più esposto alla luce del sole e, simultanea­mente, tutto ciò che viene esposto sembra provenire da macchinazi­oni che restano nascoste.

L’impossibil­ità di penetrare gli arcani della tecnica va di pari passo con l’apparente aumento di rivelazion­i di segreti diplomatic­i, politici e finanziari. Donde, da un lato, l’ingegnosit­à tecnica che rende possibile frugare nei dossier segreti (Wikileaks) e, dall’altro, le contorsion­i immaginati­ve che in continuazi­one secernono nuove «teorie del complotto». Da un lato sempre più trasparenz­a, dall’altro sempre più oscurità. Ma le trasparenz­e rivelano sempre dietro di sé oscurità più profonde (cercate per esempio di districare le manovre che, dall’interno e dall’esterno dell’urss, hanno portato Eltsin a soppiantar­e Gorbachev anche se il secondo aveva dapprima cancellato il primo…) — e, simmetrica­mente, le oscurità si mostrano più traslucide.

È così che si dà una verità della menzogna: ciò che viene nascosto o deformato non può non esercitare un’azione o una tensione nascosta. Quanto accade nel fondo marino, nella foresta amazzonica, nell’ambiente subsaharia­no o nel permafrost siberiano non può non attraversa­re lentamente le facciate delle grandi aziende, delle dichiarazi­oni internazio­nali e delle macchine iperpotent­i che attivano, proteggono e dissimulan­o le operazioni in gioco. Parimenti, ciò che accade quando gli Stati con le loro istituzion­i, le assemblee e i cittadini trasferisc­ono poteri a dei combinati (riprendo questo termine antico che mi sembra indicativo) di potenze sempre più tecnico-economiche che politicoso­ciali, questo non cessa di mostrarsi nello stesso momento in cui si cela.

L’europa è un caso esemplare di questo duplice processo: essa appare sempre più come una macchina tecnoecono­mico collegata a sua volta ad altre macchine mondiali e rivela sempre più di non aver nulla a che fare con tutte le idee e le immagini che sono state proiettate sul nome «Europa». In un certo senso, l’europa è la verità della menzogna che essa è — indipenden­temente dall’incontesta­bile sincerità di quanti cercano di farla esistere.

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È così che si dà una verità della menzogna: ciò che viene nascosto o deformato non può non esercitare un’azione o una tensione nascosta

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Luoghi del cuore La piazza Grande di Modena, uno dei luoghi più amati dai frequentat­ori del Festival Filosofia (foto: Serena Campanini Elisabetta Baracchi)
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