Corriere della Sera

Fenati licenziato,

Silurato dal team attuale e da quello futuro, la Mv. «Ho fatto una sciocchezz­a, ma non posso pagare così»

- DAL NOSTRO INVIATO Paolo Foschi Daniele Sparisci

ASCOLI Il cancello grigio del fan club è sbarrato, i murales colorati anziché accogliere i tifosi festanti all’ingresso della sede restano oggi ingabbiati nelle inferriate della recinzione. «È inutile suonare, è tutto chiuso, non verrà nessuno. Per loro, è un giorno di lutto» dice un signore di mezza età affacciand­osi dal portone accanto. «Loro» sarebbero Romano Fenati, la mamma manager Sabrina, la fidanzata Asya e l’entourage di parenti e amici che qui, nella periferia industrial­e di Ascoli, ha costruito negli anni una specie di quartier generale del pilota.

La carriera sportiva del talento delle due ruote all’improvviso si è interrotta. Tutta colpa della follia di domenica, quando a Misano, nel Gran premio di Moto2, al termine di un lungo duello con il rivale Stefano Manzi, ha allungato la mano a 217 all’ora verso l’avversario, tirandogli la leva del freno. Un gesto sconsidera­to e pericoloso: bandiera nera, squalifica immediata e due turni di stop. Il day after però è stato ancora peggio: sono arrivati nello stesso giorno due licenziame­nti. Prima l’attuale squadra, il Marinelli Snipers Team, ha comunicato la rescission­e del contratto. E poi è stata la Mv Agusta, che aveva ingaggiato Fenati per la prossima stagione, ad annunciare che per il pilota indiscipli­nato non c’è posto nella propria squadra.

Il mea culpa via social di Fenati non è servito a evitargli di finire fuori dal grande circo del motociclis­mo, almeno per adesso. «Chiedo scusa a tutto il mondo sportivo — ha scritto su Facebook — ho fatto un gesto inqualific­abile, non sono stato un uomo... le critiche soso no corrette e comprendo l’astio nei miei confronti... ho sbagliato ma considerat­e il momento: Manzi mi ha portato fuori pista. Non è una giustifica­zione, non ci sono scuse ma cercate di capirmi. Ora avrò tempo per riflettere e chiarirmi le idee».

Ieri il clan Fenati si è chiuso a riccio. Chi ha provato a chiamare la mamma-manager, si è sentito chiudere il telefono in faccia. E al citofono dell’appartamen­to di famiglia nel quartiere di Porta Romana, nessuno ha risposto. «È un momento difficile» dice un commes-

dAutocriti­ca Non sono stato un uomo! Ma io non sono così Non ci sono scuse ma cercate di capirmi della ferramenta di Romano Fenati Senior, nonno del pilota, «ancora non è chiaro che cosa succederà». «Ha solo toccato la leva del freno — aggiunge nonno Romano — non sono riuscito a parlare con mio nipote, ha il telefono staccato».

In gioco non c’è solo la carriera sportiva, ma anche un una cosa simile è assolutame­nte gravissimo e macchia l’immagine del motociclis­mo» ha detto a Radio 24.

Cresciuto con la madre Sabrina che gli cura gli affari, il «Cinghialot­to» porta Ascoli nel cuore e sul casco. Il legame con la sua terra è profondo: quando il terremoto colpì nell’estate del 2016 lui caricò un furgone con caschi, pale e scarponi e si precipitò ad Amatrice per dare una mano. Era stato da poco licenziato dalla squadra di Valentino, quando era ancora in corsa per il titolo. Aveva superato il Licenziato Romano Fenati è stato licenziato dal team Sniper e scaricato dalla Mv Agusta con la quale aveva firmato per il 2019 per aver tirato il freno di Stefano Manzi a 217 km/h (Milagro, Ansa) progetto imprendito­riale costruito intorno al pilota. I contratti sono infatti gestiti da una società ad hoc, la Fennyfive Srl, di cui amministra­trice unica, secondo gli ultimi dati disponibil­i, è Sabrina, la mamma dell’ormai ex enfant prodige.

Il fan club è invece anche un «ristoranti­no» promosso su Internet in cui i tifosi si ritrovavan­o per vedere le gare del proprio idolo e festeggiar­e per i suoi piazzament­i. E allo studio c’era una linea di merchandis­ing, mentre il sogno del nonno, primo tifoso ma anche primo sponsor, era quello di creare un grande centro di avviamento al motociclis­mo magari realizzand­o una pista proprio ad Ascoli, nella periferia dove alle spalle dei capannoni industrial­i, qualche anno fa, il piccolo Romano aveva imparato a guidare la moto. «Era un fenomeno — ricordano gli amici del quartiere — nessuno riusciva a stargli dietro. Adesso è distrutto, non è un criminale come qualcuno vuole dipingerlo».

Il processo degli haters, gli odiatori seriali, è intanto già arrivato a sentenza e sui social si sono scatenati con minacce di morte al pilota e offese alla fidanzata. Lui con gli amici si è sfogato: «Ho fatto una cazz… ma non posso pagare un prezzo così alto, non è giusto». limite in un confronto burrascoso con «Uccio» Salucci, amico e braccio destro del Dottore. Rossi quella decisione non l’aveva presa a cuor leggero, non si capacitava di come uno degli allievi più dotati dell’academy di Tavullia riuscisse a rovinarsi da solo in quel modo. E quando Fenati era tornato a vincere con un’altra squadra gli aveva fatto i compliment­i. Perché il Fenati bis profumava di happy end. Alla corte di Giancarlo Cecchini, il decano del paddock (è stato meccanico di Agostini, Hailwood e Pasolini), diceva «di aver trovato l’armonia». E così sembrava: tre vittorie e il 2° posto nel Mondiale. Poi quest’anno il salto nella classe superiore, la Moto2. Un salto senza paracadute.

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