«Sì, era mafia ma Roma non è Palermo»
Pene lievemente ridotte: 14 anni per l’ex Nar, 18 per il re delle coop Buzzi
«Smantellato un sistema. Premesso che fino al terzo grado vale la presunzione di non colpevolezza, avevamo ragione noi. Ma Roma non è Palermo». Così il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone sulle sentenza d’appello per Mafia capitale. «Il problema grave resta la corruzione».
La mafia, intesa come capacità di intimidire, condizionare e imporre regole e decisioni, era anche nella capitale. Secondo la corte d’appello presieduta da Claudio Tortora (la stessa che un anno fa aveva negato la mafia del clan Fasciani ad Ostia, con un verdetto poi annullato dalla Cassazione) l’associazione capeggiata da Salvatore Buzzi e Massimo Carminati non era il semplice sodalizio fra un imprenditore che distribuiva tangenti e un ex Nar che recuperava crediti. Ma un’associazione capace di minacce e sopraffazioni grazie alla (considerevole) reputazione criminale di uno dei suoi sodali.
Le armi? Nella ricostruzione dei magistrati Cascini, Ielo, Tescaroli e Prestipino c’erano anche quelle, ma in molti casi era sufficiente evocare la minaccia a imporre obbedienza.
Le pene, tuttavia, sono state generalmente ribassate, probabilmente perché calcolate sulla base di quelle previste dalla legge precedentemente all’arresto degli imputati: così, per quanto possa sembrare paradossale, il «Nero» Carminati ha avuto 14 anni con l’accusa di mafia anziché i 20 inflitti in primo grado per corruzione, e Buzzi è sceso da 19 a 18. Rivive l’accusa di associazione mafiosa nei confronti dell’ex capogruppo di centrodestra Luca Gramazio, sia pure condannato a 8 anni e 8 mesi invece di undici, e nei confronti — fra gli altri — dell’ex compagna di Buzzi, Alessandra Garrone, della socia Emanuela Bugitti (ex terrorista rossa), dell’amico di Carminati Riccardo Brugia e di Matteo «spezzapollici» Calvio. Unica assoluzione piena, quella della segretaria di Buzzi, Nadia Cerrito che dice: «Il mio calvario finisce oggi: credevo di rischiare un’ispezione per evasione fiscale, mi hanno accusato di essere una mafiosa».
Era iniziata con una retata di 37 persone il 2 dicembre 2014. Era proseguita con altri 44 arresti a giugno 2015. Quindi il fenomeno di Mafia Capitale aveva tenuto banco con un ex sindaco (Gianni Alemanno) prosciolto dalla mafia ma finito a processo per corruzione, un alto funzionario di Stato (Luca Odevaine) condannato a 2 anni e 8 mesi di carcere e decine di funzionari alla sbarra per aver alimentato un sistema corruttivo che era entrato nel cuore dell’amministrazione capitolina. In primo grado i giudici avevano stabilito che il cosiddetto Mondo di Mezzo era solo un’associazione finalizzata alla corruzione e/o all’estorsione, ma non mafiosa, e adesso l’avvocato Alessandro Diddi, difensore di Buzzi, protesta: «Ribassate le pene dei funzionari pubblici? Questa sentenza preoccupa». Duro anche il giudizio di Ippolita e Giosuè Naso, avvocati del «Nero»: «La mafia è un’invenzione della Procura», mentre Carminati commenta: «Abbiamo fatto il possibile ma lo Stato è più forte».
«Oggi — dice il governatore del Lazio Nicola Zingaretti — si scrive una pagina nuova della storia della nostra città, mentre la sindaca Virginia Raggi, in aula, a caldo parla di «Città devastata da Mafia Capitale. Ora, avanti con il nostro lavoro».
La minaccia
Punita la capacità di intimidire, condizionare e imporre regole e decisioni