Mute da sub, gonne strappate «Contrasti, la mia ossessione»
Raf Simons per Calvin Klein: è una moda «protettiva e sensuale»
NEW YORK E finalmente un po’ di creatività sulla fashion week newyorkese. Ci pensa Raf Simons con Calvin Klein e le sue mute da sub e la sua tocca da graduato. Lo squalo e Il laureato, già. Due film simbolo della storia americana che lo stilista belga interpreta con grande sicurezza entrando e uscendo dai riferimenti, non senza le contorsioni che gli appartengono e l’ossessione per i contrasti: «I disastri accadono ma si trasformano in bellezza, così come la bellezza intorno a noi può diventare tutto d’un tratto un disastro». Così ecco che, dopo il buio, le pareti della sala si trasformano in un immenso schermo cinematografico con il mare e la musica da Oscar di John Williams a tutto volume, eccitante e inquietante. Una muta in neoprene, corta per le ragazze e lunga, spesso a petto nudo, per i ragazzi è il filo conduttore («protettiva e molto sensuale»), più o meno morbida, indossata sotto i vestiti o i blazer. I riferimenti al mondo scuba sono una costante: bardature declinate dal Gav (giubbotto da assetto variabile), spalmature e termosaldature e gommature anche per stivaletti e décolleté molto lady Like. La spensieratezza e il contrario della stessa. Ecco gli abiti da cocktail eleganti e perfetti, Anni 60, tutti pieghe «essiccate» (con il sale al sole?) o gonne al ginocchio improvvisamente strappate (dallo squalo?). O la tocca e la mantella del laureato sui blazer impeccabili over size, i grossi pullover a costa inglese. Romantici contrasti, mai senza. La moda adora.
Così anche dai Proenza Schouler, alias Lazaro Hernandez e Jack Mccollough, che scelgono un materiale nazional popolare («il tessuto più reale che ci sia»), il denim, e confezionano l’intera collezione: dai blazer agli abiti scivolati a vita bassa, alle gonne a trapezio, ai gilet, ai grembiali, trench, alle borse giganti. Tele made in Japan trattate e poi cucite qui negli States con rivetti e impunture secondo tradizione. Very American Style, alla fine. Come la landa desolata da Burning Man messa in scena nei capannoni dei Piers sull’hudson, dove fra carcasse di ferro e il grande dinosauro di rottami sfilano i ragazzi e le ragazze country metropolitani chic di Coach by Stuart Vevers. Lo stilista influenzato da un viaggio al Ghost Ranch di Santa Fe non ha resistito e ha raccontato quel mondo popolato di abiti scivolati un po’ Calamity Jane, camicie annodate, giacche di pelle vissute, enormi felpe con le stampe di Disney (una nuova collaborazione), borse di shearling. Comunque molto vendibile.
Non ci sono stati i greci o il Rinascimento o l’epoca vittoriana. Questo c’è. Il surf, per esempio. Che Michael Kors racconta fra mille colori e fantasie. Parlando di ottimismo, di romanticismo e di utopie. Che ci sta, se non fosse che una vita in vacanza non è esattamente alla portata di tutti. Però l’invito è questo. Quindi, mare e sole e tailleur bianchi e ricamati con il blazer sì, ma gli short sotto; abitoni a fiorellini di chiffon; pantaloni a zampa e bluse stampate.
Un po’ di energia dall’europa con Chiara Boni che porta a New York le donne di Tahiti di Gauguin. La stilista fa uno splendido lavoro di ricerca su tonalità e fantasie e realizza una collezione energizzante ed eclettica proprio perché ogni pezzo può essere frullato con follia o sobrietà. Ma l’invito a lasciarsi andare a quel pizzico di naïf che c’è in ognuno di noi si ferma sempre di fronte alla sensualità. Silhouette iperfemminili sui tubini ma anche sui nuovi drappeggi e le baschine reinventate con piccoli fazzoletti puntati di strass. Il tessuto è sempre il sensitive, lycra stretch brevettata dalla stilista. Materiale amatissimo negli States (più 12% il fatturato quest’anno): in prima fila clienti storiche e Lara Trump, impegnatissima nuora del presidente. Uno stretch val bene un’uscita.