L’omaggio a Cappello, una voce fatta di luce
Il territorio e le cose, il dialetto friulano e l’italiano come modi per entrare nel mondo sono stati la cifra di Pierluigi Cappello, poeta al centro dell’apertura di Pordenonelegge a un anno dalla sua scomparsa. Se l’occasione è l’uscita di Un prato in pendio. Tutte le poesie 1992-2017 (Bur), non va dimenticata l’importanza, anche simbolica, del legame di Cappello con la sua terra: un Friuli-venezia Giulia bello, ma non clemente nei suoi anni. Nato nel 1957 a Gemona del Friuli, passò l’infanzia a Chiusaforte, comune nella valle di Fella distrutto dal terremoto nel 1976, visse principalmente a Tricesimo, in un prefabbricato per chi era stato colpito dal sisma, concludendo la sua vita a Cassacco. Invalido per un incidente in moto da adolescente, Cappello trovò nella poesia un altro modo di correre, compensando una passione che era stata agonistica. Prima sulla pagina, con versi in cui la lingua semplice accompagna la forza della natura, ma danza vicino a «la parola niente», poi nella scena pubblica, leggendo ai giovani, perché, diceva: «È un porsi frontalmente davanti alla società, far capire che i poeti esistono e magari fanno anche delle cose interessanti». Vinse i maggiori premi: Montale nel 2004, Bagutta nel 2007, Viareggio Repaci nel 2010. In quell’occasione, arrivò dopo un lungo viaggio, in una sorta di ambulanza organizzata dagli amici. Chi c’era ricorda l’abbraccio del pubblico e la rarità nell’incontrarlo lontano dai suoi luoghi. Per quanto attraversati da disgrazie, rimanevano un’origine luminosa, naturale, che appassiona continuamente nuovi lettori: «il nord e l’est, le pietre rotte dall’inverno / l’ombra delle nuvole sul fondo della valle / sono i miei punti cardinali».