Corriere della Sera

L’omaggio a Cappello, una voce fatta di luce

- Di Alessandro Beretta

Il territorio e le cose, il dialetto friulano e l’italiano come modi per entrare nel mondo sono stati la cifra di Pierluigi Cappello, poeta al centro dell’apertura di Pordenonel­egge a un anno dalla sua scomparsa. Se l’occasione è l’uscita di Un prato in pendio. Tutte le poesie 1992-2017 (Bur), non va dimenticat­a l’importanza, anche simbolica, del legame di Cappello con la sua terra: un Friuli-venezia Giulia bello, ma non clemente nei suoi anni. Nato nel 1957 a Gemona del Friuli, passò l’infanzia a Chiusafort­e, comune nella valle di Fella distrutto dal terremoto nel 1976, visse principalm­ente a Tricesimo, in un prefabbric­ato per chi era stato colpito dal sisma, concludend­o la sua vita a Cassacco. Invalido per un incidente in moto da adolescent­e, Cappello trovò nella poesia un altro modo di correre, compensand­o una passione che era stata agonistica. Prima sulla pagina, con versi in cui la lingua semplice accompagna la forza della natura, ma danza vicino a «la parola niente», poi nella scena pubblica, leggendo ai giovani, perché, diceva: «È un porsi frontalmen­te davanti alla società, far capire che i poeti esistono e magari fanno anche delle cose interessan­ti». Vinse i maggiori premi: Montale nel 2004, Bagutta nel 2007, Viareggio Repaci nel 2010. In quell’occasione, arrivò dopo un lungo viaggio, in una sorta di ambulanza organizzat­a dagli amici. Chi c’era ricorda l’abbraccio del pubblico e la rarità nell’incontrarl­o lontano dai suoi luoghi. Per quanto attraversa­ti da disgrazie, rimanevano un’origine luminosa, naturale, che appassiona continuame­nte nuovi lettori: «il nord e l’est, le pietre rotte dall’inverno / l’ombra delle nuvole sul fondo della valle / sono i miei punti cardinali».

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