Hinder, vescovo d’arabia «No alle contrapposizioni»
Il monsignore che guida uno degli avamposti dell’islam
«Siamo sul volo per Riad. Stiamo per immergerci in un mondo dove non possiamo essere chi siamo, perché loro non ci vogliono per quelli che siamo. O, meglio, rifiutano quel che siamo davvero. Tutto ciò che mi caratterizza come persona, il fatto che sono prete, la mia fede, le cose più importanti nella storia della mia vita e dunque della mia identità: tutto ciò deve rimanere nascosto e negato. Là verso dove sto volando non posso essere come sono, né quel che sono. Non in pubblico, almeno. Capii d’un colpo che cosa significa vivere in queste terre. Mi inquietò e mi rese triste».
Monsignor Paul Hinder sarà a Pordenonelegge il 23 settembre per presentare il suo libro Un vescovo in Arabia. La mia esperienza con l’islam (Editrice Missionaria Italiana, in libreria da oggi). Un racconto in prima persona di una delle voci più importanti della Chiesa nel dialogo tra le fedi — nato in Svizzera, frate cappuccino, studi in Germania e dal 2003 attivo nel Golfo —, che non nasconde sfide e criticità ma rivela anche la sorprendente vitalità del cattolicesimo nell’arabia meridionale. A differenza dell’arabia Saudita, dove ogni presenza religiosa non musulmana è Idee ufficialmente vietata e perseguita dalle autorità (ma dove si è recato in passato, celebrando messe senza musica in segreto, fingendo che fossero «feste di compleanno»), Hinder è vicario apostolico negli Emirati, in Oman e in Yemen: qui la presenza cristiana, attraverso la forte migrazione dall’asia, sta vivendo una nuova primavera.
Si contano circa un milione di cattolici di 100 diverse nazionalità e la parrocchia St. Mary a Dubai con i suoi 300mila fedeli è considerata la più grande del mondo. «Negli Emirati Arabi Uniti almeno l’80% dei residenti sono lavoratori stranieri. Tra loro, molti cattolici soprattutto dalle Filippine, dall’india e da molti altri Paesi, inclusi quelli di lingua araba con minoranze cristiane di antica tradizione. Gli emiri qui si sono mostrati aperti agli stranieri e hanno messo a disposizione il terreno per luoghi di culto. Così abbiamo otto parrocchie negli Emirati. Tra poco saranno nove: stiamo iniziando la costruzione di una chiesa nella regione occidentale di Abu Dhabi. Quindi sarebbe sbagliato applicare tutti i pregiudizi che esistono in occidente riguardo al mondo arabo, a causa di notizie brutte che molto spesso sono vere ma non coprono tutta la realtà».
A Hinder non stanno a cuore solo i cristiani, ma la libertà Paul Hinder (a destra) con Nahyan bin Mubarak Al Nahyan, ministro arabo della Cultura di tutti di vivere la propria identità religiosa. In alcuni casi però le condizioni di vita sono davvero drammatiche. In Yemen addita non solo le colpe delle parti in guerra («Mi sembra ovvio che ambedue hanno commesso dei crimini») e il supporto che ricevono da Arabia Saudita e Iran, ma anche «i troppi che guadagnano con il conflitto nei Paesi occidentali». Nel Golfo denuncia che i lavoratori immigrati «vivono tutti in moderne gabbie mentre costruiscono le torri di lusso per i locali». Ma il vescovo osserva con attenzione anche questioni più vicine a noi. «L’europa non dovrebbe puntare il dito e poi agitare il pugno: “Se noi non possiamo costruire da voi le nostre chiese, voi non potete costruire qui le vostre moschee”. La politica dell’occhio per occhio non serve a nulla. Vietare le moschee non fa nascere le chiese in Arabia Saudita». È una voce preziosa contro l’eccesso di semplificazione e il bisogno di individuare fronti contrapposti netti. «Il musulmano cattivo da un lato e il povero cristiano perseguitato dall’altro: questa è una rappresentazione che fa un grave torto a tutti quei musulmani che qui ci aiutano e che si impegnano con vigore al nostro fianco».
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Gli emiri qui si sono mostrati aperti agli stranieri e hanno messo a disposizione il terreno per edificare luoghi di culto
Da sapere
● Paul Hinder, 76 anni, membro dell’ordine dei frati minori cappuccini, guida il nuovo vicariato apostolico dell’arabia Meridionale. Le costituzioni dei Paesi che ne fanno parte dichiarano l’islam religione di stato e indicano la sharia fonte principale della legislazione. Le altre religioni sono tollerate e possono avere luoghi di culto