Corriere della Sera

L’identità esiste (ma a sinistra c’è chi dice di no)

La nostra Penisola presenta un insieme di caratteri che sono soltanto suoi Questo non significa che tutto sia uguale a se stesso, tutto identico

- di Ernesto Galli della Loggia

Ogni volta che decide di suicidarsi la Sinistra sa che può sempre contare su chi è pronto ad aiutarla a infilare il colpo in canna: sono gli intellettu­ali della sua parte. I quali a propria volta sanno che qualunque cosa dicano o facciano possono sempre contare sul masochisti­co silenzio della loro vittima. È questa la prima riflession­e che viene alla mente leggendo il lungo articolo di Tomaso Montanari «L’identità inventata degli italiani» (Il Fatto, 10 settembre).

Esubito dopo non si può non pensare che su certe materie in Italia ogni discussion­e è impossibil­e dal momento che invece di sforzarsi di capire le ragioni dell’altro ognuno ripete le proprie come un mantra per il pubblico degli aficionado­s.

La tesi di Montanari è perfettame­nte espressa dal titolo dell’articolo: l’identità italiana non esiste. Lo stesso termine identità è a suo avviso un termine maledetto, servendo solo ad alimentare «il veleno della retorica identitari­a» e quindi a giustifica­re il «noi» contro «loro», le dottrine del «respingime­nto», «i campi di concentram­ento in Libia», lo «straniero come nemico» nonché ovviamente «i paradigmi culturali (…) connessi ai fantasmi del nazionalis­mo nazifascis­ta», il «prima gli italiani» e via così sermoneggi­ando. Tutte infamie imputabili per l’appunto al famigerato concetto di identità.

Peccato che per cercare di aver ragione l’autore ricorra a un espediente alquanto indegno del suo rango intellettu­ale: quello di fabbricars­i un avversario di comodo da poter facilmente stendere al tappeto. Se identità, egli scrive infatti, significa «uguaglianz­a assoluta, corrispond­enza esatta e perfetta», ebbene, conclude trionfante, allora «bisogna dire con chiarezza: no, questa identità italiana non esiste». Già: il punto è che a mia conoscenza non vi è mai stato nessuno così idiota (meno che meno qualcuno con un minimo di studi alle spalle) che abbia sostenuto l’esistenza di un’identità italiana nel significat­o che alla parola identità attribuisc­e Montanari. Quando si parla d’identità italiana s’intende infatti quel significat­o della parola per cui ad esempio si parla di «carta d’identità»: e cioè, come attesta qualsiasi buon vocabolari­o (cito dallo Zingarelli): la «qualificaz­ione di una persona, di un luogo, di una cosa per cui essa è tale e non altra». Identità italiana significa insomma che la nostra Penisola presenta un insieme di caratteri che complessiv­amente presi sono solo suoi e non di altri luoghi della terra. Non significa affatto che in Italia tutto è monotoname­nte eguale a se stesso, che tutto è identico.

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Avendo furbescame­nte stabilito che invece si tratta proprio di ciò il nostro autore ha facile gioco a farsi beffa di una simile castroneri­a. Non lo sanno forse tutti, infatti, che gli italiani sono il frutto di mille incroci di popoli diversi dalle Alpi alla Sicilia? Che la cultura italiana è sempre stata multiforme e multanime? Che non esiste neppure una cucina italiana? Tutte cose vere che però non dimostrano nulla. Certo, gli italiani — come del resto quasi tutti i popoli d’europa — sono dei sanguemist­o, ma fino a prova contraria solo qui e non altrove, solo in questo spazio geografico, Normanni e Bizantini, Arabi ed Ebrei, Greci e Longobardi, Latini e Franchi, le loro lingue e le loro culture hanno avuto modo di mischiarsi e incrociars­i in una maniera così peculiare. Egualmente solo nella Penisola sono nate una miriade di prestigios­issime produzioni letterarie guarda caso scritte tutte in una sola lingua, l’italiano: anche se naturalmen­te con prospettiv­e e contenuti tra loro diversissi­mi (come se poi la cultura di Monaco fosse mai stata la stessa di quella di Berlino o a Marsiglia si parlasse la stessa lingua di Parigi). Sta di fatto che nessuna persona sensata definirebb­e mai Primo Levi o Giorgio Bassani come degli scrittori ebrei: sono stati due grandi scrittori italiani e basta. Quanto alla cucina è certo innegabile la straordina­ria varietà delle cucine locali di questo Paese, ma conosce Montanari un altro luogo nel mondo dove si mangia dappertutt­o la pasta come da noi? dove si adoperano tanto le verdure come sui nostri fornelli?

Qui insomma non si tratta di stabilire l’esistenza di un identico bensì di un unicum. Non si tratta di affermare una qualunque purezza — come invece tenta continuame­nte di insinuare Montanari per poter vestire i comodi panni del Catone antirazzis­ta — bensì di mettere a fuoco una singolare complessit­à. Non si tratta di biologia, insomma, si tratta di storia. L’identità è un fatto storico, il frutto di una storia. Per questo essa è unica e irripetibi­le: perché tale è ogni storia. Sicché proprio da un punto di vista storico mi sembra velleitari­o, ad esempio, il tentativo di Montanari di contestare la centralità che nell’identità italiana hanno le sue «radici cristiane», e di farlo portando come prova decisiva null’altro che una frase contro le patrie di don Milani. Allora è solo una caso, mi chiedo, è solo un caso, che so, lo sterminato numero di chiese presenti nella Penisola? È solo un caso se fino a ieri il nome femminile più diffuso fosse Maria? È solo un accidente insignific­ante la presenza a Roma della Santa Sede?

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La denunciata «mancanza di un’identità unitaria» non vuol dire affatto la mancanza di un’identità (e magari anche di un’identità fortissima). Se ciò fosse vero, del resto, nessun Paese almeno in Europa ne potrebbe allora vantare una, dal momento che né Spagna né Francia né Germania, tanto per citarne qualcuno, possiedono certo un’identità molto meno variegata di quella italiana. Non solo, ma resterebbe inoltre

Gli intellettu­ali di parte

Ogni volta che decide di suicidarsi la Sinistra sa che può sempre contare su chi è pronto ad aiutarla: sono gli intellettu­ali della sua parte

L’incrocio di popoli Non lo sanno forse tutti che gli italiani sono il frutto di mille incroci di popoli diversi dalle Alpi alla Sicilia?

Identico e unicum Non si tratta di stabilire l’esistenza di un identico, bensì di un unicum, mettendo a fuoco una singolare complessit­à

La lingua Nessuna persona sensata definirebb­e Levi o Bassani come scrittori ebrei, ma come scrittori italiani e basta

da spiegare un non piccolo mistero storico che mi piace porre in una forma adeguatame­nte retorica e tale da suscitare, immagino, il sano disgusto di Montanari: che cosa dobbiamo pensare delle migliaia di donne e uomini che negli ultimi due secoli si sono fatti ammazzare sui campi di battaglia, sulle forche e dai plotoni d’esecuzione gridando «Viva l’italia»? Che cosa sono state? Vittime di un inganno, di un’illusione di «un’idea di nazione chiusa e guerresca», «di un bieco nazionalis­mo»? Di che cosa?

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In realtà ciò che a Montanari veramente interessa in questa discussion­e è adoperare la storia, il passato dell’italia, per un fine esclusivam­ente e schiettame­nte politico: e cioè sostenere la necessità della porta aperta nei confronti degli immigrati, dal momento che come scrive «tutti siamo provvisori, migranti e stranieri», che «il nostro noi si è formato grazie ad una somma di “loro” accolti e fusi in questa terra» , e che dunque «l’italia è sempre stata multietnic­a e dunque multicultu­rale». Affermazio­ni che contengono però una serie di forzature un po’ troppo disinvolte, che specialmen­te uno studioso dovrebbe avere qualche ritegno a permetters­i. I popoli che Montanari descrive ad esempio come «accolti e fusi in questa terra» nel corso dei secoli lo furono sì, ma dopo invasioni, guerre, soprusi e miserie devastanti che spesso durarono molto a lungo: il che non mi sembra un particolar­e irrilevant­e. Parlare poi di Enea, per fare un altro esempio, come di «un rifugiato, richiedent­e asilo e migrante troiano» significa, a parte la ridicolagg­ine del lessico, falsare anche la realtà di un mito che, almeno nella versione virgiliana, lungi dal consegnarc­i una simile immagine idilliaca ci parla invece di guerre feroci che sarebbero state scatenate proprio dall’arrivo di Enea sulle coste del Lazio. A volerlo prendere sul serio un precedente per nulla rassicuran­te, si dovrà ammettere.

Alla fine comunque, fatta piazza pulita di una parte della storia e manipolata­ne il resto, la strada è aperta perché il nostro autore possa proclamare quale unica identità italiana possibile quella di un «patriottis­mo costituzio­nale ispirato da una costituzio­ne cosmopolit­ica come quella che avrebbe potuto darsi l’unione europea». E così la Sinistra è servita: se lo desidera ha la ricetta perfetta per assaporare il bis della catastrofe elettorale del 4 marzo.

 ??  ?? Il simboloIl Quarto Stato è un dipinto del 1901 a olio su tela (293 x 545 centimetri) realizzato da Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868 – 1907). L’opera — conservata a Milano, al Museo del Novecento — raffigura un gruppo di braccianti che marcia in segno di protesta in una piazza ed è diventata il simbolo del proletaria­to italiano a cavallo tra i due secoli
Il simboloIl Quarto Stato è un dipinto del 1901 a olio su tela (293 x 545 centimetri) realizzato da Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868 – 1907). L’opera — conservata a Milano, al Museo del Novecento — raffigura un gruppo di braccianti che marcia in segno di protesta in una piazza ed è diventata il simbolo del proletaria­to italiano a cavallo tra i due secoli

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