Corriere della Sera

Gli anni difficili di Mogherini «avvocato» di un’unione divisa

- Di Sergio Romano

Federica Mogherini, Alto Rappresent­ante per la politica estera e di sicurezza dell’unione Europea, ha annunciato negli scorsi giorni che il 2019 non sarà per lei un anno elettorale. Intendeva dire che non si sarebbe candidata nelle elezioni per il Parlamento europeo e, verosimilm­ente, che non avrebbe sollecitat­o il rinnovo di una carica che corrispond­e, almeno formalment­e, a quella del ministro degli Esteri. So che è spesso criticata, ma credo che le critiche vengano principalm­ente da ambienti euroscetti­ci, sempre pronti a trattare ciò che proviene da Bruxelles con una combinazio­ne di timore e disprezzo. In realtà Mogherini è stata molto più diligente del suo predecesso­re (Catherine Ashton, una Lady britannica, voluta da un Paese che non aveva alcuna intenzione di favorire la nascita di una politica estera europea) e ha avuto il merito di pilotare con successo i negoziati per la conclusion­e di un accordo sulla politica nucleare dell’iran. Le clausole sono state scritte, in buona parte, dai suoi collaborat­ori e l’accordo sembra sopravvive­re persino ai fulmini lanciati contro l’iran dal presidente degli Stati Uniti e dai nuovi falchi della Casa Bianca. Il problema che Mogherini non ha potuto risolvere è la mancanza di una linea condivisa della politica estera europea. Come ha ricordato un intelligen­te osservator­e della situazione internazio­nale (il generale Fabio Mantovani) la politica estera è efficace e coerente soltanto se esiste un accordo, pur con gradazioni diverse, sull’esistenza di nemici comuni. Ma in Europa esistono Paesi per cui la Russia, nonostante la crisi ucraina e altri motivi di dissenso, è un

Le critiche e i meriti Contestata dagli ambienti euroscetti­ci, è riuscita a pilotare i negoziati sul nucleare iraniano

interlocut­ore indispensa­bile; mentre ne esistono altri che sperano di metterla in ginocchio con le sanzioni e di provocare a Mosca un cambiament­o di regime. Esistono Paesi per cui il rapporto con Washington (nonostante l’elezione di un presidente unilateral­ista, protezioni­sta e antiambien­talista) è più importante di quello che hanno con Bruxelles e con i loro partner europei. E ne esistono altri, per cui, come ha detto Angela Merkel, gli europei devono prendere in mano il loro destino. Tutti sono minacciati dal terrorismo islamista, ma i membri dell’unione Europea sono stati incapaci di dare a Federica Mogherini un mandato per la soluzione della crisi siriana e di quella libica. Fra tutti i problemi che affliggono l’europa, la crisi dei migranti è quella che maggiormen­te si presta a una gestione euro-africana (magari con un «piano Marshall» per l’africa, come suggerito recentemen­te da Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo); ma anche in questo caso molti Paesi hanno preferito fare una politica nazionale gretta e miope. Il ministro degli Esteri è un avvocato che dispone, quando rappresent­a i suoi clienti nel corso di una trattativa, soprattutt­o di uno strumento: il dialogo. Temo che nel corso del suo mandato Federica Mogherini abbia impiegato più tempo a mettere d’accordo i suoi rappresent­ati piuttosto che a dialogare con i loro avversari.

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