«La ferrovia dell’artico distruggerà la Lapponia»
Gli ultimi indigeni d’europa (e le loro renne) a rischio estinzione
Il giovane Jussa Seurujärvi non ha mai parlato davanti a tanta gente. Stanno tutti zitti ad ascoltarlo nella sala conferenze del Siida, primo museo dedicato ai Sámi. È intimidito e fiero, rigido nella sua giacca di panno blu e inserti rosso acceso, i colori del popolo del Grande Nord. «Sono un allevatore di renne — scandisce — come mio padre e mio nonno. Non ho mai pensato di trasferirmi in una fattoria o in un ufficio di città. La foresta è il mio luogo di lavoro. Le renne le mie colleghe. Ma adesso il governo finlandese vuole costruire la ferrovia artica. È la minaccia peggiore».
Il progetto non è nuovo. Ora, però, Helsinki sembra aver fretta, forse pressata daspezzerebbe gli interessi delle potenze dell’est. La nuova rete ferroviaria dovrebbe unire il Mar Glaciale Artico a Rovaniemi, la capitale di Babbo Natale in Lapponia, e da qui collegarsi con le linee che già viaggiano verso il Centro Europa. Il capolinea settentrionale è fissato al porto norvegese di Kirkenes, sul Mare di Barents. Molti gli interessi lungo quei binari: i giacimenti minerari e di gas dell’estremo Nord sono sempre più appetibili, così come le rotte di navigazione artica. In Norvegia hanno calcolato che il 10 per cento dei container diretti da Cina, Giappone, Taiwan e Sud Corea verso l’europa potrebbe passare proprio da Kirkenes.
I Sámi, unico popolo indigeno d’europa, non sono d’accordo. «Non siamo stati neppure presi in considerazione», sostiene Petra Biret Magga-vars, allevatrice di Vuotso. Le rotaie taglierebbero in due il loro territorio, il Sápmi. una ferita aperta che
il reportage di Sara Gandolfi e le video testimonianze dalla Lapponia
la continuità delle foreste dove da secoli le renne pascolano in libertà. «L’impatto sull’ambiente e sul nostro stile di vita sarebbe devastante — assicura Tiina Sanila-aikio, presidente del Parlamento Sámi di Finlandia —. Il governo non considera il nostro parere vincolante. Faremo appello. È evidente che sta violando i nostri diritti, riconosciuti anche dall’onu».
Negli ultimi decenni la pressione della silvicoltura è stata sempre più pesante, così come l’impatto del cambiamento climatico. «Fa caldo, la neve arriva più tardi, gli incendi sono violenti, i serpenti migrano da nord e quest’estate sono arrivate le zecche. Non le avevamo mai viste prima», assicurano i Sámi. Trasformazioni di cui soffrono anche le renne. Gli allevatori le riuniscono solo due volte all’anno, per marchiare i vitelli a giugno e per spedire i capi prescelti al macello in autunno. Hanno sempre gestito il territorio in maniera comunitaria, ma da tempo la terra qui appartiene allo Stato, che controlla la grande azienda forestale Metsahallitus. In teoria, con l’obbligo di non danneggiare l’allevamento tradizionale delle renne.
I segni del disboscamento industriale nelle foreste del comune di Inari sono evidenti. Scortati dai «campaigner» dell’organizzazione ecologista Greenpeace, da tempo al fianco del popolo Sámi, abbiamo visitato una zona «tagliata» 25 anni fa. Gli alberi ripiantati allora non crescono, molti non raggiungono neppure un metro di altezza, fragili e circondati dal vuoto. La foresta boreale ha ritmi lenti, ci vogliono tra i 100 e i 200 anni per ripristinare le caratteristiche originarie. Il terreno rimane esposto all’erosione, al sole e rilascia CO2. «Le renne non torneranno qui a pascolare per altri quindici anni — spiega Leo Aikio, vicepresidente della cooperativa di allevatori Muddusjärvi —. Il lichene sugli alberi è perduto, quello al suolo si secca ed è distrutto dal vento. E d’inverno il suolo gela, così le renne non trovano cibo sotto la neve. Siamo costretti ad alimentarle con scorte d’emergenza». L’omone sospira: «E questo è solo l’inizio. La ferrovia metterà il punto finale».
Almeno sei cooperative su tredici saranno attraversate dalla ferrovia. «Hanno chiesto al governo una valutazione complessiva di impatto — spiega il loro consulente, Jarmo Pyykko —, hanno risposto che non ci sono i soldi». Resta un mistero chi finanzierà il progetto, che ha un costo stimato di 2,9 miliardi di euro: 2 a carico della Finlandia, il resto della Norvegia. Forse la Cina, suggerisce qualcuno. A Kemijarvi, dove dovrebbe arrivare un ramo della ferrovia, la Repubblica popolare è comproprietaria di un nuovo stabilimento di cellulosa. «Il piano è di produrla in Finlandia e poi trasportarla in Cina come carta», sostiene Pyykko.
Carta e «tissue», ossia fazzolettini, tovaglioli usa-e-getta, asciugatutto. La foresta boreale è nelle case di noi tutti. Come spiega Martina Borghi «forest campaigner» di Greenpeace Italia. «Meno del 3 per cento della Grande foresta del nord, che si estende su 16 milioni di chilometri quadrati fra Scandinavia, Russia, Alaska e Canada, è protetto. E questo accade anche a causa nostra, di Paesi come l’italia che importano grandi quantità di polpa di cellulosa per la produzione di carta e “tissue”. Ogni italiano ne consuma nove chili all’anno».
Corriere della Sera
L’industria mineraria, quella del legno, Russia e Paesi asiatici: molti vogliono la nuova rotta