Corriere della Sera

Forchette di plastica e cuscus Il pranzo assieme agli ultimi nella missione del frate laico

- Di Felice Cavallaro

PALERMO Ha aperto lo stesso vassoio dei poveri e con la forchetta di plastica ha mangiato lo stesso riso e lo stesso cuscus di un paralitico alla sua destra, un Tamil sfuggito al genocidio dei cingalesi, di fronte a un musulmano arrivato dalla Tunisia, nel tavolo vicino a quello di due detenuti in permesso dall’ucciardone e di un nigeriano al quale ha benedetto la bimba appena nata, sotto gli occhi felici della sposa, una palermitan­a.

Ecco i posti d’onore che pure il vescovo Corrado Lorefice ha lasciato agli ultimi perché Papa Francesco potesse capire davvero cos’è questa corte dei miracoli chiamata «Missione Speranza e Carità». Approdo di disperati, migranti, senza niente. Con affanno ieri per i servizi di sicurezza, ma accolti a braccia aperte da un frate laico, Biagio Conte, un saio per veste, il bastone per reggersi dopo un miracolo perché, prima di andare a Lourdes, era inchiodato a una carrozzell­a.

La sosta per un pranzo frugale non poteva essere scelta meglio per il Papa che insiste sul tema degli ultimi. E qui ha trovato 1.500 raccolti in un ex deposito dell’aeronautic­a, la città della speranza dove da ieri campeggia la statua di don Puglisi scolpita da Rosario Vullo. Osservata dal pontefice con compiacime­nto, come le icone della chiesetta, sorpreso dal musulmano piazzato di fronte, a tavola, Ben Haj Abdallah: «Le ho dipinte io, convinto come lei della pace fra le religioni».

Poi la sorpresa del Tamil «che ama e prega Santa Rosalia», come spiegano i volontari parlando di Rasiah Kathiresan, il paralitico alla destra del Papa che si alza quando si avvicina Samson Olom, il nigeriano sposato con l’educatrice di Palermo Barbara Grisanti. Pure lui arrivato dieci anni fa con un barcone a Lampedusa. «Oggi mediatore culturale e presidente della comunità nigeriana», come lo presenta Pasquale Scimeca, il regista che guadagna una carezza del Papa, autore di un film su Fra’ Biagio, direttore della Scuola sperimenta­le di cinematogr­afia, alla guida di una squadra di giovani cineasti.

E lo zoom scatta quando si fa avanti Nicolò Brunetti, come si presenta consegnand­o timido al Papa un pensierino: «Le voglio bene. Da un detenuto in libertà per lei». E, finito il pranzo, se ne torna in carcere. Come Giuseppe C.: «Ho chiesto perdono per avere ucciso mio padre mentre aggrediva mia madre. Orrore che sto pagando con 10 anni. E lui, con infinita bontà: “Non io, ma Dio ti ha perdonato...”».

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Tra i migranti Il pranzo del Pontefice presso la Missione di Speranza e Carità

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