Corriere della Sera

Faticavamo 12 ore al giorno E uscivamo la sera a ballare

I nostri padri e nonni pativano la fame, il freddo, le malattie Nonostante questo lavoravano e si divertivan­o. Sorridevan­o, si appassiona­vano alla politica, credevano nel futuro

- di Aldo Cazzullo

La notte di Natale del 1948, accanto al presepio – l’albero non si usava —, la maggioranz­a dei bambini italiani trovò come regalo un sacchetto di mandarini. A volte nemmeno quelli. Iva, una bambina di Gallicano, in Garfagnana, che allora aveva dieci anni e ora ne ha ottanta, ricorda un sacchetto di fichi secchi, ceci, castagne. Sulle Langhe la piccola Anna ebbe una mucca di terracotta piena di caramelle.

Riccardo, sette anni, di Molfetta, ricevette in dono un violino. Pianse e si lamentò: voleva un fucile di legno con il tappo. «Riccardo non è portato per la musica» commentò sconsolato il padre, un medico. Di cognome si chiamava Muti.

A Mariano del Friuli, Dino, sei anni, ebbe una canottiera di lana bianca a coste su cui la madre aveva ricamato in rosso il numero 1: le maglie vere delle squadre di calcio non erano in vendita, e in ogni caso la sua famiglia contadina non se la sarebbe potuta permettere; e lui che sognava di fare il portiere si allenava a parare le prugne che gli tirava la nonna. Trentaquat­tro anni dopo, la famiglia Zoff avrebbe visto Dino riportare in Italia la Coppa del Mondo.

Avevamo 16 milioni di mine inesplose nei campi. Oggi abbiamo in tasca 65 milioni di telefonini, più di uno a testa, record mondiale.

Solo un italiano su 50 possedeva un’automobile. Oggi sono 37 milioni, oltre uno su due.

Tre famiglie su quattro non avevano il bagno in casa; per lavarsi dovevano uscire in cortile o sul balcone.

L’italia non esportava tecnologia, ma braccia: minatori in cambio di carbone.

I soldi non valevano più nulla, mangiati dall’inflazione. Gran parte delle famiglie, tranne

quelle che si erano arricchite con la borsa nera, erano rovinate. Stava un po’ meglio chi aveva investito nelle case; ma due milioni erano andate distrutte nei bombardame­nti. Furono ricostruit­e in pochi anni. Oggi non riusciamo a coprire le buche nelle strade della capitale.

I giornali non pubblicava­no diete, ma consigli per alimentars­i con poco: il problema non era dimagrire, era ingrassare.

Eravamo un popolo di contadini poveri. Si faceva il bucato al lavatoio, in piedi, o nei corsi d’acqua, in ginocchio. Cucinavamo con la stufa a legna o a carbone, avevamo difficoltà a conservare i cibi, non avevamo idea di cosa fossero vacanze o weekend.

Non avevamo neppure l’orologio: la vita era scandita dalle campane; ai rintocchi che segnalavan­o mezzogiorn­o tutti si fermavano, dicevano l’angelus in un latino stentato, e da casa partivano le donne a portare il pranzo a chi lavorava nei campi.

Anche in città, per spostarci avevamo la bicicletta, per informarci la radio, per parlare il bar: solo il 7 per cento possedeva un telefono.

Eppure eravamo più felici allora di adesso. Al mattino ci si diceva: «Speriamo che oggi succeda qualcosa». Ora ci si dice: «Speriamo che oggi non succeda nulla».

La ricostruzi­one è uno dei grandi momenti nella storia d’italia. Bisognereb­be scriverlo con l’iniziale maiuscola: Ricostruzi­one. Come il Risorgimen­to, il Piave, la Resistenza. Momenti di riscossa dopo la caduta, di cui essere orgogliosi. Ma oggi il malumore e il pessimismo sono tali che si parla più dei briganti, di Caporetto, di Salò.

Della Ricostruzi­one non si parla mai. I giovani cresciuti al tempo della rete non sanno neppure cosa sia. Al più, la si confonde con il boom economico: la 600, la lavatrice, le prime estati al mare, l’autostrada del Sole. Ma quella è storia di quindici anni dopo.

L’italia del 1948 era un Paese a pezzi. Avevamo perso la guerra due volte: prima contro gli inglesi, i russi, gli americani; poi contro i tedeschi, che in pochi giorni avevano fatto prigionier­i 800 mila nostri soldati. Ci eravamo dilaniati in una sanguinosa guerra interna. Il bilancio finale era spaventoso: 300 mila militari morti, 150 mila civili; in ogni famiglia si era aperto un vuoto, come dopo la Grande guerra, finita appena trent’anni prima.

Gli italiani avevano sofferto moltissimo. E ancora pativano la fame, il freddo, le malattie (anche se dall’america erano arrivate medicine sconosciut­e che facevano miracoli: gli antibiotic­i). Eppure sapevano lavorare e divertirsi. Faticare dodici ore al giorno e uscire la sera a ballare. Appassiona­rsi alla politica. Sorridere. Guardare al futuro con fiducia, perché sarebbe stato migliore del presente se avessero dato il meglio di se stessi.

Avevamo 16 milioni di mine inesplose nei campi. Oggi abbiamo 65 milioni di telefonini, più di uno a testa, record mondiale

 ??  ?? Sopra: una ragazzina del quartiere romano di Trastevere in equilibrio su una Vespa: foto di Carlo Bavagnoli (Piacenza, 1932)
Sopra: una ragazzina del quartiere romano di Trastevere in equilibrio su una Vespa: foto di Carlo Bavagnoli (Piacenza, 1932)
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy