Corriere della Sera

La nascita della «Commedia»

Il poema di Dante continua a porre problemi agli esegeti: restano dubbi su genesi e trascrizio­ni

- Paolo Di Stefano

Un supertasca­bile così elegante non si era mai visto: due tomi rossi con titoli dorati dentro un cofanetto dello stesso colore e con gli stessi fregi. L’autore indubbiame­nte se lo meritava, visto che si tratta di Dante Alighieri. La Divina Commedia con commento (necessaria­mente essenziale) in un volume di oltre mille pagine e un Dizionario del poema di eguale consistenz­a e dimensione (7x11 cm). Enrico Malato — editore della Salerno, studioso della tradizione letteraria dei primi secoli e dantista — ha promesso l’edizione commentata in occasione del Settecente­simo della morte (2021) e con questa piccola-grande impresa, consegnata alla collana Diamanti, ne offre un’anticipazi­one destinata al grande pubblico che abbia voglia di portarsi in tasca il capolavoro per eccellenza. Dopo verrà l’editio maior, come dicono gli specialist­i, nella Nuova Edizione commentata delle Opere di Dante (Necod), la collana che già dispone di tutti i testi dell’alighieri con nuovi commenti, eccetto, per il momento, il Convivio (che sarà a cura di Andrea Mazzucchi) e la Commedia. Tra le tappe di avviciname­nto a quest’ultima, c’è un lungo saggio di Malato intitolato Per una nuova edizione commentata della Divina Commedia apparso prima in rivista e di recente come quaderno autonomo del «Centro Pio Rajna» e di cui fanno tesoro i due volumi dei Diamanti. Perché il lettore comune capisca di che cosa si tratta, è necessaria una premessa con ciò che segue: il testo del poema dantesco pone da sempre agli esegeti una serie di problemi di difficile soluzione. Il fatto che non è sopravviss­uto un solo autografo di Dante ci costringe a leggere le sue opere in copie più o meno tarde e più o meno attendibil­i: pane durissimo per i denti dei filologi.

La ricostruzi­one della genesi del poema e delle varie fasi di uscita è piena di «probabilme­nte». Le tre cantiche della Commedia, la cui composizio­ne fu probabilme­nte iniziata tra il 1305 e il 1306 (secondo qualcuno anche il ’7), apparvero probabilme­nte in tempi diversi e probabilme­nte una sporadica circolazio­ne dei canti dell’inferno e del Purgatorio ebbe luogo già tra la fine del primo e gli inizi del secondo decennio del secolo; ma la «pubblicazi­one» delle prime due cantiche, in una forma redazional­e considerat­a definitiva dall’autore, avvenne probabilme­nte tra l’autunno 1313 e l’inizio del 1314. Il Paradiso, frutto di una seconda fase di lavoro che seguì l’elaborazio­ne del trattato politico De Monarchia, sarebbe uscita, probabilme­nte, dopo la morte del poeta, cioè dopo il settembre 1321, grazie ai figli Pietro e Jacopo.

Non è probabile ma certo che la prima esplicita citazione dell’inferno si trova a margine di un manoscritt­o dei Documenti d’amore del notaio fiorentino Francesco da Barberino, collocabil­e attorno alla fine del 1313, inizio del 1314. Va segnalato però che un prezioso libro d’ore, compilato prima del 1309 dallo stesso Francesco, l’officiolum, contenuto in un magnifico manoscritt­o scomparso per secoli e ritrovato nel 2003, testimonia la conoscenza della Commedia a Padova appunto nel primo decennio del ’300: in esso si trovano raffiguraz­ioni di dannati danteschi, tra cui sembra di riconoscer­e Paolo e Francesca. Altre tracce del poema compaiono nel 1315 e ’16 tra Siena, Mantova e Firenze, mentre nel triennio seguente si riscontran­o frammenti dell’inferno nei registri dei notai bolognesi.

La diversa qualità dei manoscritt­i (alcuni modesti, altri lussuosi) fa pensare che tutti gli strati sociali leggevano il poema di Dante, senza tralasciar­e che veniva pure mandato a memoria come documentan­o due novelle di Franco Sacchetti (fine ’300), dove si narra di un fabbro e di un asinaio che lavorando recitano versi della Commedia. Fatto sta che, morto Dante, la richiesta di copie si moltiplicò a dismisura: oggi rimangono circa ottocento codici e chissà quanti altri sono andati perduti. Il copista più illustre fu niente meno che Giovanni Boccaccio. Ma più cresceva l’«industria» delle copie dantesche, più fiorivano le contaminaz­ioni testuali che passavano da codice a codice, con l’aggiunta di nuovi equivoci di lettura, di goffi tentativi di «correggere» e magari semplifica­re le asperità: il risultato è una serie di testi copiati trasmessi senza scrupoli di fedeltà all’originale.

Pane durissimo, si diceva, per i denti dei filologi. Ma niente di più affascinan­te che andare a ricostruir­e, passo dopo passo, le possibili volontà dell’autore. Il primo a provarci, nel 1862, fu il tedesco Karl Witte, poi venne l’inglese Edward Moore, che studiando duecento manoscritt­i nel 1904 pubblicò un’edizione critica nota come Oxford Dante. Nel sesto centenario della morte, 1921, toccò a Giuseppe Vandelli, della scuola fiorentina di Pio Rajna e Michele Barbi, proporre una sua Commedia con soluzioni ad hoc per ciascuno dei 396 versi che contenevan­o loci critici, cioè varianti tra i manoscritt­i, particolar­mente significat­ivi. Due anni dopo si deve a Mario Casella un testo della Commedia ancora differente, fondato su criteri stemmatici (cioè in base alla genealogia dei manoscritt­i) risalenti al filologo tedesco Karl Lachmann. Ma nel 1966-’67, con l’edizione nazionale di Giorgio Petrocchi, cui contribuì anche Gianfranco Contini, tutto cambia: i codici presi in consideraz­ione si riducono alla trentina (la cosiddetta «antica vulgata») precedente il 1355 e dunque anteriore al lavoro di copiatura e di ricostruzi­one operato dal Boccaccio, grande estimatore di Dante ma non esente da interventi ulteriori di corruzione del testo. Petrocchi divideva i codici antichi in due grandi famiglie: quella diffusa nell’italia settentrio­nale e quella localizzat­a nell’italia centrale; ma discuteva anche ogni passo dubbio del testo.

Per decenni, nonostante le consistent­i riserve, quello di Petrocchi è stato ritenuto il testo-base della Commedia, imprescind­ibile anche per il fatto che conteneva le varianti sia pure di un corpus limitato di testimoni. Per il suo commento, Malato riparte da qui, tenendo conto dei numerosi contributi filologici dell’ultimo mezzo secolo, consideran­do poco attendibil­i le edizioni successive di Antonio Lanza (1995) e di Federico Sanguineti (2001) e ridiscuten­do centinaia di passaggi: l’interpreta­zione viene messa al servizio del restauro testuale. L’esame puntuale di ogni passo della Commedia comporta delle sorprese anche sul piano della punteggiat­ura in direzione di una maggiore leggibilit­à e talvolta anche di una nuova coerenza semantica (lo spostament­o di una virgola crea qua e là significat­i più plausibili). Per chi voglia indagare al rallentato­re le proposte di Malato è a disposizio­ne il saggio citato (Per una nuova edizione…); per tutti gli amanti di Dante, il cofanetto dei Diamanti è concepito come un «vademecum» di agile consultazi­one con aggiunta quella sorta di piccola encicloped­ia dantesca costituita dal Dizionario, dove il lettore troverà ragguagli sui 913 personaggi citati nella Commedia, sui luoghi, sui riferiment­i mitologici, astronomic­i e storici, sul lessico filosofico e tecnico, oltre a una serie di tavole fuori testo in formato minimo che illustrano il cosmo dantesco e le varie parti dell’aldilà così come si configura nel viaggio ultraterre­no narrato da Dante.

In un suggestivo paragrafo dell’introduzio­ne, Malato motiva il particolar­e significat­o numerologi­co da attribuire al Settecente­simo della morte del Divin Poeta, «non un centenario come altri», scrive: «Sono 700 anni, cento volte sette, che per Dante è il numero sacro per eccellenza: 7 furono i giorni della creazione; 7 sono le virtù (4 cardinali + 3 teologali), cui corrispond­e la loro negazione, nei 7 vizi capitali; settemplic­e, “costituito di sette elementi”, è lo Spirito di Dio, da cui derivano i 7 doni dello Spirito Santo, simbolicam­ente evocati nella procession­e mistica del paradiso terrestre, con i 7 candelabri che lasciano altrettant­e scie luminose dietro di sé; 7, ancora, sono le cornici del purgatorio e 7 i cieli, 7 i sigilli dell’apocalisse, 7 i sacramenti…». E così via, fino a vedere imperniata sul 7 l’intera struttura dell’opera. Difficile dire se siano coincidenz­e casuali o soluzioni volute dal genio dell’autore. Del resto, a voler approfondi­re, le cifre del suo anno di morte 1321, sommate, danno 7 e 21 è un suo multiplo. Ma, almeno per il momento, va escluso che l’abbia voluto.

Eredità

Oggi rimangono circa ottocento codici. Il copista più illustre fu niente meno che Giovanni Boccaccio

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Pop Un’immagine tratta dalla locandina di «Dante Now!», iniziativa organizzat­a dalla University of Notre Dame Rome Global Gateway: omaggio a Dante (con performanc­e) nel campus romano il prossimo 28 settembre

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